Home > Food > Percorsi Gourmet > Sua maestà il tajarin, piatto cult delle Langhe
QUANTI ANNI HA? DA DOVE VIENE? COME SI PREPARA? DOVE SI MANGIA? PERCHÉ È COSÌ SPECIALE? OGGI PARLIAMO DEL TAJARIN, L'ICONICO FORMATO DI PASTA SIMBOLO DELLE LANGHE E DEL PIEMONTE
“Sua maestà il tajarin”: lo chiamiamo così perché americani, francesi, tedeschi, giapponesi oggi impazziscono di fronte al piatto di pasta che, insieme all’agnolotto, più rappresenta il nostro Piemonte nel mondo, ma un tempo lui (il tajarin) sarebbe un po’ arrossito.
Perché? Un po’ di storia. I tajarin sono, come spesso succede, un piatto nato “povero”, o meglio nato nelle campagne langarole di un tempo (che di certo ricche non erano), e che veniva messo in tavola per le feste o per la domenica. Abbiamo notizie di questa ricetta fin dal 1400, conosciuta anche per essere un po’ un unicum sul territorio nazionale.
Per quale motivo? Per gli ingredienti: solitamente la pasta in giro per l’Italia viene e veniva preparata utilizzando tutte le uova, ma la caratteristica madre dei tajarin vuole l’utilizzo esclusivamente di tuorli; in un numero che secondo tradizione può variare da una quindicina ai fatidici e famosi 30 tuorli (che per i puristi sono la regola). Sono infatti i tuorli a dare ai tajarin sia il tipico, intenso gusto che la splendida tinta color oro; e anche a rendere non propriamente semplice questa ricetta che necessita, soprattutto per l’impasto, di pazienza, forza, esperienza e dimestichezza.
Spessore finale? Meno di una tagliatella, ma comunque non troppo fine, diciamo massimo 2-3 millimetri, e questo è dogmatico. Poi ovviamente ogni zona, secondo tradizioni familiari, disponibilità di materie prime e altri motivi, ha le proprie dosi e proporzioni (anche il tajarin è bello perché vario).
I tajarin di Felicin sono probabilmente la ricetta più celebre di questa cucinaCronache di epoche passate narrano che anche i reali ne andassero ghiotti, in particolare re Vittorio Emanuele II, che amava farli condire con burro, funghi, animelle e prosciutto cotto. Abbinamento gustoso, forse un po’ azzardato… Oggi infatti i tajarin classici sono col ragù langarolo oppure in purezza con il burro. Piccola curiosità sul termine “ragù”: questa è la versione italianizzata, ma potete trovarlo scritto anche “ragout”, utilizzato cioè nella versione originale francese, che fin da epoca rinascimentale fa riferimento a sfiziose ricette con carne tagliata in piccoli pezzi (poi magari dedichiamo una puntata a questa storia…).
Tornando ai tajarin segnaliamo che secondo tradizione il taglio va effettuato rigorosamente al coltello: chiaro oggi in molti utilizzano per comodità altri strumenti; ma ci sono ancora parecchie realtà che con abilità si cimentano nell’antico gesto. Un esempio è Felicin, un cult di Langa, con un rinomato ristorante e un bellissimo albergo diffuso a Monforte d’Alba; uno di quei posti in cui assaporare per davvero la tradizione langarola.
D’altronde accolgono ospiti (da tutto il mondo) fin dal 1923, e i tajarin di Felicin sono probabilmente la ricetta più celebre di questa cucina. Ma perché citiamo Felicin? C’è un motivo molto specifico, ovvero che Felicin a inizio anno è giunto ufficialmente a Torino con un boutique-bistrot di fronte all’arcinoto Santuario della Consolata (denominazione ufficiale: Basilica di Santa Maria della Consolazione).
Scelta non banale quella di subentrare a quella che un tempo era l’Erboristeria Rosa Serafino, aperta da metà ‘800 come Antica Erboristeria della Consolata, un luogo dal fascino veramente unico, accanto peraltro al celeberrimo Bicerin. Cosa si mangia da Felicin?
Dalle colazioni all’aperitivo, e ovviamente tutto quello che c’è in mezzo. Insomma, un’idea di ristorazione dalle vibes abbastanza internazionali, che ha come piatto forte (letteralmente) il pranzo, e ovviamente i tajarin tagliati al coltello classici di Felicin. Qui si degustano al ragù (o al ragout) e volendo si comprano nei caratteristici pacchi per provare a riproporli a casa.
Ecco quindi perché Felicin: perché è molto bello andare in Langa, o proprio a Monforte, per mangiarsi i tajarin, ma oggi si trovano autentici anche di fronte alla Consolata, rigorosamente tagliati al coltello.
Un’ultima nota: Luciano Bertello qualche anno fa ha dedicato al tajarin un bel libro, Piccola storia dei tajarin. Viaggio affettuoso di un piatto povero diventato ricco (Slow Food Editore) che ripercorre decenni di storia di Langa e di Piemonte, attraverso il racconto di questo iconico piatto di pasta, un affresco food e sociale interessante, perché il cibo è prima di ogni altra cosa cultura. Quindi lode a sua maestà il tajarin.