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Torino, Autunno 2022
Si sprecano i giochi di parole sull’autunno caldo di Torino. Calembour che, tra una ventina d’anni, ma forse anche prima, nessuno capirà più. C’è stato un periodo in cui il calore era la misura dello scontro sociale che, proprio a Torino, aveva il suo epicentro negli anni Settanta. Quando la città era più vivace di oggi, attirava persone creando enormi problemi di convivenza sociale tra culture e storie molto diverse. Una vicenda torinese del Novecento. Le generazioni dei giovani degli anni Duemila ricorderanno invece l’autunno e l’inverno freddi che stanno per arrivare. Con i termostati bloccati sui 18 gradi, le caldaie che si accendono con una settimana di ritardo e, soprattutto, le bollette dell’energia alle stelle. A metà settembre ho partecipato a un’assemblea di condominio convocata in previsione dell’inverno: «Se salirà ancora il prezzo del gas metteremo un maglione in più. Ma se salirà troppo? Smetteremo di pagare, ci taglieranno la fornitura e ci scalderemo con la legna». Scenari apocalittici. C’è da sperare che, per evitarli, qualcuno intervenga. Il Comune e la Regione, soprattutto. Perché è certamente educativo spegnere le luci della Mole, ma sono ben più graditi un autunno e un inverno caldi per tutta la città. Si risparmino altre spese ma non lasciamo al freddo nessuno. Questo va fatto nell’immediato, ma c’è una seconda iniziativa che Torino può prendere in tempi medi per garantire la sopravvivenza energetica a prezzi abbordabili. Un quarto dell’energia che consuma la città viene da fonti rinnovabili, l’idroelettrico soprattutto. Abbiamo quattro fiumi e una corona di vallate che possono far girare le turbine. In questi decenni Iren, il secondo produttore italiano di energia, che a un certo punto (amministrazione Appendino) la città aveva deciso di cedere un po’ per volta per fare cassa, ha lavorato molto per rendere più efficiente la fornitura alla città. Si è anche dotata di accumulatori che garantiscono la continuità dell’erogazione di corrente in periodi di siccità o assenza di vento. E la garantiscono non solo a Torino ma all’intero Nord. Insomma, ci sono tutti gli elementi perché la città possa diventare la capitale italiana delle energie rinnovabili. Basterà tutto questo a risolvere l’ormai annosa questione della nuova fisionomia di Torino? Probabilmente no.
È certamente educativo spegnere le luci della Mole, ma sono ben più graditi un autunno e un inverno caldi per tutta la città. Si risparmino altre spese ma non lasciamo al freddo nessunoI quartieri benestanti e quelli più poveri continueranno a vivere ciascuno nel proprio mondo e con le proprie ossessioni. Chi ha meno, ha problemi molto concreti da risolvere: l’inflazione e le bollette. Chi ha di più, quella che un tempo si chiamava la classe dirigente, continua a inseguire i fantasmi del passato che non ritorna o quello del presente che non c’è: Milano. Ciascuno ha un buon motivo per immaginarsi una periferia; i poveri marginali rispetto al centro, il centro marginale rispetto al capoluogo lombardo. Ognuno insegue un luogo dove non è e vorrebbe essere. Così non si ricostruisce una città, così si alimenta un grumo di reciproci risentimenti. I torinesi di oggi sono un gruppo di cittadini in fuga. Servirebbe invece un progetto per cui valga la pena lavorare tutti insieme, un centro di gravità permanente che ricostruisca la città. Un’idea per cui valga la pena impegnarsi: che sia conveniente per i più poveri e per i benestanti. Nell’Ottocento quel progetto è stato l’allargamento del Regno fino a creare l’Italia. Nel Novecento il predominio nell’industria manifatturiera. L’ultimo grande progetto in grado di tenere unita la città sono state le Olimpiadi del 2006. Ma ora? Nei prossimi mesi, mentre ciascuno a modo suo affronterà le difficoltà create dall’inflazione e dal caro energia, proviamo a immaginare un buon motivo per scommettere su Torino. Le opportunità sono diverse. Spazio, energie rinnovabili, ricerca scientifica, sistema universitario, industria della cultura e del turismo: sono tutte tessere di un mosaico in grado di trasformare questa nella città dell’innovazione. Non è abbastanza? Ci vorrebbe altro? Non ci convince? Non abbiamo altre proposte? Beh, allora facciamo un gesto netto di protesta: andiamocene. Un’ora per far le valigie, si sale sul Frecciarossa e in 45 minuti si è a Milano. Meglio no?