Home > People > Editoriali > Sentenze bianconere > Giampiero Boniperti. Leggenda juventina
Torino, estate 2021
L’estate del calcio è un insieme di promesse e attese, di calciatori che vanno e vengono, di sospiri, di speranze. La Juventus riparte da Massimiliano Allegri per ritornare a vincere in Italia e cercare di rompere il sortilegio della Champions League. Per i tifosi sono i giorni degli infiniti sogni: possibili e impossibili. Ma questa è anche l’estate della malinconia e del rimpianto, con il pensiero che ritorna a Giampiero Boniperti, leggenda bianconera, che ci ha lasciato a 92 anni, a Torino, il 18 giugno scorso.
Il “Presidentissimo” ha rappresentato Madama da formidabile calciatore prima e da dirigente vincente dopo.
Una vita in bianconero, in un club che era il suo bene profondo, la sua immensa famiglia
Il “Presidentissimo”, così come veniva giustamente chiamato, ha rappresentato Madama in tutto e per tutto, da formidabile calciatore prima e da dirigente vincente dopo. Una vita in bianconero, tra gol e strategie, dribbling e acquisti, sempre nel nome degli Agnelli. «Juventus non è soltanto la squadra del mio cuore. È il mio cuore».
Questa frase ci dice tutto su Boniperti, sul suo attaccamento a un club che era il suo bene profondo, la sua immensa famiglia, il suo essere e il suo divenire. Un vuoto profondo per tutto il popolo juventino, e non solo: perché ha illustrato il nostro calcio, in ogni stadio, con talento, bravura, serietà. Era della Vecchia Signora il perfetto e impavido scudiero, una vita trascorsa insieme, fin dal suo debutto nel 1946: storie di reti e di meraviglie, soprattutto di un sentimento unico, profondo e irripetibile. 444 presenze, una vita per quei tempi di un football poetico e romantico, dei breriani “principi della zolla”. L’addio al prato verde nel 1961, con cinque scudetti e due coppe Italia. La Juve sua e del “rebelde” Omar Sívori, del “gigante buono” John Charles (il centravanti che così tanto piaceva a Beppe Fenoglio): un trio che era un canto popolare, un inno alla gioia, davvero uno spettacolo vedere all’opera quei formidabili assi.
Attaccante o centrocampista, il “Presidentissimo” ha servito anche la Nazionale: sempre con bravura, e quell’eleganza che era il suo stile dentro il campo, 38 presenze, otto reti.
Presidente dal 1971 al 1990, ancora una vicenda di vittorie, scudetti e coppe inter- nazionali, con la profonda ferita dell’Heysel rimasta aperta: quei nostri 39 angeli, quella tragica notte del 29 maggio 1985. Impossibile dimenticare. Impossibile.
Faceva firmare i calciatori in bianco, detestava il derby («Se potessi, lo abolirei»), ma fu amico vero di Valentino Mazzola, capitano del Grande Torino, allo stadio restava solo per un tempo: non riusciva a reggere quelle emozioni, la partita lo coinvolgeva troppo, considerava Gaetano Scirea “il calciatore ideale”, amava ripetere: «Vincere non è importante, è la sola cosa che conta». Il grande rimpianto: non aver portato Gigi Riva, il “Rombo di Tuono” del Cagliari, alla Juve.
Scrisse Giovanni Arpino, l’autore de La suora giovane, uno dei capolavori del nostro Novecento: «Giampiero Boniperti (che sarebbe un magnifico governatore, come certi inglesi dell’Ottocento) incarna l’efficienza, la fedeltà ideale, il consistere: sono questi i suoi discorsi veri, scrivibili sul rettangolo di una cartolina. Eppure non lo capiscono, gli rinfacciano di non parlare mai, di non svelarsi. Basta guardarlo e intendere, invece».
Per Vladimiro Caminiti, poeta del pallone, Boniperti era, senza ombra di dubbio, «l’uomo della nostalgia e del progresso».