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Sara D'Amario

«Per fortuna mi hanno rubato la bicicletta»

di Sara D'Amario

Autunno 2021

Nel 1988 il mio unico mezzo di locomozione era una bicicletta rossa fiammante. Scomodissima per me, come tutte le biciclette. Eppure, se volevo usare gli autobus solo per andare a scuola e poi muovermi liberamente, dovevo accettare di posarmi su di lei e pedalare.

I momenti peggiori erano le curve segnate dai binari del tram. Un miracolo che io sia sopravvissuta, malgrado diverse cadute negli incroci più trafficati, come l’intersezione di via Madama Cristina con corso Vittorio Emanuele II.

A causa della mia totale inadeguatezza come ciclista, non facevo chissà quali scorribande per la città, non mi godevo amene pedalate con il vento tra i capelli, mi muovevo prevalentemente per necessità: via Arcivescovado per la scuola di spagnolo due volte alla settimana e tragitti precisi per andare al cinema o a teatro, per cui rischiavo la vita volentieri, sapendo di farlo per qualcosa di importante.

Il 1991 mi vede ancora in sella verso la Scuola per Attori del Teatro Stabile, aperta da Luca Ronconi, a cui ero stata ammessa e che fisicamente si trovava in corso Moncalieri, proprio sul Po, dove aveva già sede una storica associazione di canottieri.

L’anno seguente, in un giorno ventoso, proprio per colpa della bicicletta ho assaggiato l’acqua di quel tratto del Po davanti alla scuola di teatro: freno malamente a qualche metro dal piccolo molo, perdo l’equilibrio, un’improvvisa folata di vento mi ruba il foulard, dono del mio innamorato, e lo fa volare nell’acqua. Non ci penso un istante: lascio cadere la bicicletta e mi tuffo nel Po per recuperare il prezioso pegno d’amore. Avessi saputo che pochi mesi dopo ci saremmo lasciati…

Finalmente, nel 1993 mi rubano la bicicletta: la logistica si complica, ma la salute ne ha giovamento, sicuramente.

Mi diplomo alla Scuola di Ronconi, inizio a lavorare e viaggiare. La base però rimane Torino: la mia famiglia, gli amici.

Ed è ancora così nel 2021. Anche per quanto riguarda il mio rapporto con la bicicletta. La prendo solo perché da 12 anni sono mamma e non è bello negare alla propria figlia una bella pedalata al Parco del Valentino. Forse fa parte delle gioie della maternità sopportare la tortura dei sellini, anche se imbottiti, pur di vedere il sorriso spensierato dei propri figli.

Siccome anche l’automobile la uso pochissimo, soprattutto per uno scrupolo ambientalistico, mi sposto prevalentemente a piedi; sono diventata bravissima a rispondere a email, messaggi, telefonate e anche a leggere e studiare mentre cammino.

Così facendo mi godo la mia amata Torino, senza sellini e… senza freni.

 

Ecco uno dei contributi delle cinque simboliche voci, ognuna delle quali porta sulle pagine di Torino Magazine un proprio aneddoto, una storia personale che accompagna lo scorrere di queste 150 cover e di trentatré anni di città.

Leggi gli altri quattro contributi: Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Beppe Gandolfo, Paolo Griseri, Gianni Oliva

Leggi 1988-2021: 150 cover di Torino Magazine