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Torino, primavera 2021
Sono possibili alcune magari interessanti considerazioni a proposito del prossimo grande torneo tennistico denominato ATP Finals, che si svolgerà a Torino dal 14 al 21 novembre (così lontano così vicino), e sono considerazioni che legano la manifestazione – sotto la Mole per le cinque prossime edizioni – alle partite di calcio, intanto che slegano del tutto i due pubblici, stando almeno alla di essi tipologia tipica, classica. Non sappiamo – nessuno lo sa, anche se millanta il proprio sapere – se e quando il calcio riavrà, e definitivamente, il suo pubblico tradizionale – ma possiamo già scrivere che le due manifestazioni assumono un rilievo speciale e curioso anche per il fatto che le gare si disputano in impianti vicinissimi, praticamente un tutt’uno, cioè il palasport Isozaki in simbiosi con lo stadio Grande Torino, che è il vero stadio cittadino. Partiamo dalla conclusione di questo nostro arzigogolare, poi passeremo alle spiegazioni.
La conclusione è che non esistono al mondo due sport più diversi fra di loro che il tennis e il calcio. Già nella loro denominazione – cominciano i perché – c’è la differenza: calcio è colpo inferto col piede, al pallone ma non solo, e fra l’altro un bel calcione fa male ai glutei ma in certi casi fa bene alla psiche di chi lo prende, oltre che di chi lo dà; tennis è scambio esangue (i famosi ‘gesti bianchi’) di una pallina di stoffa e anima di gomma, e «quando non è giocato da campioni è una danza triste per far arrivare l’ora del tè», come lo definì un Jean Prévost, scrittore francese del secolo scorso. E avanti, lasciando perdere il troppo facile, cioè la differenza fra sport di gruppo e sport individuale: nel tennis non c’è contatto fisico, se non nello spesso ipocrita semiabbraccino finale fra vincente e perdente, nel calcio il contatto fisico istituzionale è enfatizzato anche quando non c’è, con la ‘recitazione’ di dolori terribili per colpi tremendi originati da presunti falli barbarici.
Presto per dire se il COVID alla fine avrà allenato anche gli spettatori, ultimamente costretti a un teletifo compresso, quasi intimo, tormentoso sempre ma non più tormentante intorno o se tutto si dissolverà al primo coro blasfemo da stadio e nello stadio.
E avanti: nel tennis il pubblico può al massimo disturbare con tanta onomatopeia di mormorii, sussurri, brusii, sibili, o esaltare con applausi e urletti, nel calcio (ante COVID, si capisce) il tifo sonoro è importantissimo, determinante, e la ‘palpabilità’ di certi incitamenti bruti e brutali si traduce spesso in pressione fisica sugli avversari e persino sull’arbitro, in intimidazione favorita dal fattore campo. Sono onta speciale il culto e l’influenza del fattore campo nel calcio italiano, nonché nel calcio in confronto ad altri sport che sono pure di squadra e di contatto fisico: il meno lontano come violenze e arti subdole la pallanuoto, il più onesto perché sanamente esplicito il rugby. Presto per dire se il COVID alla fine avrà allenato anche gli spettatori, ultimamente costretti a un teletifo compresso, quasi intimo, tormentoso sempre ma non più tormentante intorno, o se tutto si dissolverà al primo coro blasfemo da stadio e nello stadio. Magari nel calcio cambierà tutto, magari non cambierà nulla.
Il solo pronostico possibile è questo: il pubblico italiano come sempre sarà diverso, nei comportamenti vecchi ritrovati o in quelli nuovi adottati, da ogni altro. La speranza è che, a Grande Torino di nuovo – si spera – riempito, soffino venti di entusiasmo come quelli di una volta e scaldino i tennisti. Per la squadra granata un’occasione di farsi avvertire in una placca speciale, nuova di pubblico speciale, con suoi venti forti e semplici di una volta. Un’osmosi, ecco. Sembra ipotesi pazzesca, ma solo le cose pazzesche riescono bene alla gente del Toro. Quanto al tennis, pazienza se il ‘sangre de toro’ contagerà i giocatori e ridurrà i loro gesti bianchi: nello sport ricco, ormai, il biancore è così artificiale, fasullo, che ha smesso di essere anche candore.