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Editoriale

di Guido Barosio

Ripartire dai simboli

Torino, estate 2020

Per Carl Gustav Jung il simbolo è «un’espressione che è la migliore possibile in un determinato momento della vita di una persona o di un popolo». Ci sono fasi che attraversano la vita collettiva dove i simboli si rivelano non solo efficaci, ma strategici, imprescindibili, eloquenti al di là del loro valore tangibile. Lo sono le bandiere, gli stemmi, certi colori, a volte le persone, quando si elevano a valore condiviso. Dei simboli non facciamo mai a meno, però a volte affrontiamo circostanze che, più di altre, li rendono indispensabili e necessari. Ed è quello che accade in questo secondo semestre del 2020: ‘anno breve’ contro ogni aspettativa, anno nel quale saremo chiamati, tra luglio e dicembre, a mettere insieme tutto quanto era stato pensato per 12 mesi. Una sfida? Sicuramente sì. Una necessità? Ancora di più.

Per le città – creature metropolitane concepite sugli eventi quotidiani – l’anno breve è una condanna che può trasformarsi in una significativa rivoluzione. Per recuperare il tempo perduto serve un’accelerazione dei progetti, una riscrittura delle priorità, una ridefinizione delle leadership. Se non avviene si frena. E una città, quando frena, arresta il suo battito, perde appeal, economia, cultura e cessa di attrarre. Questo con buona pace di coloro che vagheggiano una metropoli slow, assopita nella chimera dello smart working a ogni costo, imbambolata nell’attesa degli eventi. Torino è a un bivio: la storia più recente aveva già espresso il suo giudizio, le nuove vocazioni non vanno solo cercate, ma vanno trovate, e trovate in fretta. Ed è guardando al nuovo e al futuro che i simboli – proprio perché antichi, e in qualche caso immutabili – si rivelano formidabili alleati. E noi siamo andati a cercarli, a metà strada tra valori classici e azzardo, nella migliore tradizione di una città folle ma ortogonale. In questo numero troverete due ‘passeggiate per Torino’ dove ci siamo trasformati in viaggiatori a casa nostra.

Ed è guardando al nuovo e al futuro che i simboli – proprio perché antichi, e in qualche caso immutabili – si rivelano formidabili alleati. E noi siamo andati a cercarli

Abbiamo messo a confronto i luoghi indimenticabili e celebrati (simboli che non sempre ci ricordiamo di osservare) e quelli più sorprendenti, magici e nascosti, che ci hanno rivelato le guide torinesi, vestali di un patrimonio di enciclopedica rilevanza. Ma in cover, e nel servizio di apertura, abbiamo esibito uno dei simboli più amati (anche se non da tutti) dell’Italia di oggi e di sempre: il calcio, il nostro calcio, quello con cui siamo cresciuti sugli spalti o con la radiolina incollata all’orecchio. Col volto non abbiamo premiato solo l’atleta, ma quello che l’atleta rappresenta: la rabbia elegante nel grido del gol. Quella foto, quel ritratto in movimento esaltato dal bianco e nero, ci connette alle copertine storiche di Time e di Life.

Allora erano i volti della vittoria negli anni Quaranta, oggi è il segnale di una città, e di un Paese intero, che riparte. Il calcio, più di altre situazioni, è una restituzione di normalità. Torneranno gli stadi pieni ma, per ora, ce lo godiamo com’è. Ce lo siamo ripreso ed è quello che conta. Ma Paulo Dybala è anche il campione che si è ammalato di COVID, che è guarito e che ha ripreso il suo posto. Argentino di passaporto e torinese nella tempra. Abbiamo anche voluto esplorare la città che torna a ospitare: in un grande cartellone troverete i tanti eventi tra agosto e ottobre, conoscerete Stefano Francia di Celle, nuovo direttore del Torino Film Festival, Laura Audi di Somewhere, che da tempo propone itinerari sorprendenti in città, e Josep Ejarque, il manager che ci spiega da dove ripartire per farci spazio nel mercato turistico.

Nella definizione di simbolo concepita da Jung ci siamo sempre riconosciuti: raccontare il valore di luoghi e personaggi accelera la ripartenza. In un anno breve ancora di più.