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Food & drink. Storie di protagonisti

Ep. 5 - Torino incontra l'altro

di Tommaso Cenni

Speciale 2021

TORINO INCONTRA L'ALTRO: VICINO, PROSSIMO E PARECCHIO LONTANO. UN VIAGGIO CHE INIZIA NELLA VICINA EMILIA, VALICA LE ALPI OSPITE DEI CUGINI FRANCESI, RISALE FINO ALL'INGHILTERRA E, PRIMA DI TORNARE, FA TAPPA IN THAILANDIA

La Ferramenta del Gusto Emiliano nasce da un’idea di un gruppo di amici desiderosi di portare la cucina del territorio a Torino; Amaury Fromager è un piccolo angolo di paradiso francese, imperdibile per gli amanti dei formaggi; Smith’s British è il posto ideale per un brunch in stile britannico ed è il primo bistrot inglese ad approdare in città; Curry & Co. è diventato nel tempo uno dei riferimenti della cucina thilandese, soprattutto per gli universitari di Palazzo Nuovo.

Torino è così, ovunque ti giri c’è un pezzo di mondo.

 

Eleonora Tonelli

La Ferramenta del Gusto Emiliano (via Giacosa, 10/A) nasce quattro anni fa da un’idea di Eleonora e alcuni amici, desiderosi di portare a Torino la cucina emiliana, quella delle origini. Già dal nome parla di sé: pratica, vera, emiliana. Eleonora è il volto giovane che collega tipicità e contemporaneità, perché le esperienze positive nascono per costruire ponti tra passato e futuro. Sogniamo una Torino in cui buoni testimonial delle eccellenze regionali, come la Ferramenta, rendono migliore la città.

Siete ambasciatori in città di un territorio e dei suoi ideali. Cosa significa per te e cosa comporterà?

«Portare l’Emilia a Torino non significa solo portarne le ricette e le specialità della tradizione; vuol dire anzitutto esportarne i valori, e quindi la voglia di amicizia, di allegria e di mangiare semplicemente bene. La nostra tradizione non è un fardello ma un’opportunità, e credo che, soprattutto dopo tutto quello che abbiamo passato, il ruolo della ristorazione sarà fondamentale. La capacità di far sentire a casa, pur non essendo a casa, è uno dei grandi compiti a cui chi fa questo mestiere è chiamato a dare una risposta. A noi la risposta scorre nelle vene, è parte del nostro territorio e delle vibrazioni dell’Emilia. La gente, secondo me, in questo anno si è ritrovata ad assegnare un’accezione rinnovata al concetto di convivialità, di cui ci siamo per molto tempo spogliati, e che non pensavamo, forse, ci sarebbe mancata così tanto. Chi fa accoglienza ora ha una responsabilità forte e noi la onoreremo fino in fondo, da emiliani».

Per il futuro di Torino, quanto è importante saper coinvolgere realtà diverse?

«L’altro è fondamentale, in ogni campo. L’altro inteso come turista, che viene da fuori per conoscerci, ma l’alterità è fatta anche di differenze interne, che alla fine ci rendono speciali. Pensiamo a chi viene da fuori, un americano che arriva qui: probabilmente non girerà tutta l’Italia, regione per regione, ma vorrà giustamente viverne molte sfumature. E qui entra in gioco Torino, che ha tutte le carte in regola per diventare un laboratorio di varietà, con il comune denominatore della qualità. Torino sa inglobare ed essere testimonial del diverso, e ciò è possibile anche grazie alla forte identità che possiede sul tema del food. Questo potrebbe essere un buon vettore per la Torino di domani: saper essere tante cose di qualità. Ci mettiamo anche la nostra cucina emiliana. A New York io, che ho viaggiato molto in Spagna, ho assaggiato la cucina iberica migliore della mia vita. Le grandi città, mature, in continua evoluzione, cosmopolite, nel loro interno sono molto varie e complesse; da lì prendono idee ed energie per il futuro. La diversità deve essere occasione di opportunità per tutti».

La Ferramenta del Gusto Emilianovia Giocosa, 10/A

 

Amaury Jiménez

Amaury, com’è facile intuire, è torinese solo d’adozione: papà spagnolo, nato e cresciuto a Lione, trasferitosi per amore (come spesso capita) a Torino. Torino e il suo animo francese, in parte accettato e in parte respinto, si sono rivelati teatro perfetto per l’avventura di Amaury Fromager (via Bogino, 19/D), fromagerie cittadina che ha da poco compiuto l’anno di vita. Formaggio, burro, vini da accoppiare ai taglieri d’aperitivo… il comune denominatore è che, in compagnia di Amaury, ogni dettaglio nasce per stupire. Per i curiosi, per gli amanti dei formaggi, un piccolo e imperdibile angolo di Francia a Torino.

Francia e Italia: a cosa non puoi rinunciare di una e dell’altra?

«Della Francia ci sono un paio di cose di cui non posso fare a meno, a partire dal buon pane francese, la baguette, poi i formaggi e  ci metterei anche la nostra crème fraiche. Ovviamente in particolare i formaggi, che sono la mia passione. Italia e Francia  hanno  due grandi tradizioni al riguardo, però non potrei mai rinunciare all’enorme varietà dei formaggi francesi a pasta  molle,  ineguagliabile  e  data dalla grande diversità delle regioni della Francia. Per l’Italia non sarò originale ma scelgo la pizza, perché incarna la bontà e soprattutto la semplicità della cucina italiana. A volte io stesso mi ritrovo di più in questa semplicità della gastronomia italiana piuttosto che nella complessità della cultura del cibo francese, un po’ elitaria».

Per il futuro di Torino, quanto è importante saper coinvolgere realtà diverse?

«Se guardo Italia e Francia vedo, com’è giusto che sia, tante differenze, alcune genuine e favorevoli, altre meno. Tralasciando la gastronomia, mi piacerebbe vedere una Torino più verde ed ecologica, meno inquinata durante l’inverno; e un buon esempio potrebbe arrivare da città d’oltralpe che hanno preso questa direzione. I francesi, su questo percorso che ci coinvolge tutti, sono a mio parere in anticipo, e valorizzare l’altro significa anche guardare chi tra i nostri vicini fa bene le cose. Penso in particolare al rinnovamento del settore primario in Italia: in Francia ormai le uova sono tutte di tipo 0 o 1, non esistono praticamente più quelle di categoria 2 o 3, e cioè di allevamenti chiusi e intensivi, ma in Italia non è così. È una questione di mentalità e consapevolezza: immagino una ristorazione torinese che coniughi la sua grande tradizione con una cucina sempre più vegetale. Una piccola rivoluzione che farebbe bene agli animali, al pianeta e alle nostre coscienze. Torino mi ha accolto in maniera calorosa, anche se ero diverso. A me adesso piace immaginare una città in grado di cambiare, evolversi, accettare idee nuove, ed essere leader in questo per l’Italia».

Amaury Fromagervia Bogino, 19/D

 

Adam Smith

Ammettiamolo, gli inglesi sono famosi per un sacco di cose, ma non per la cucina. Chi, però, conosce in modo più approfondito la gastronomia d’oltremanica, sa che è ricca di spunti interessanti. Nasce con questa idea, un po’ di anni fa, Smith’s British (via Virle, 19), il primo bistrot inglese di Torino. Un brunch tipicamente britannico, il vero tè delle cinque, le pie originali preparate da Adam… tutto qui sa di inglese, dai piatti all’accento. Perché scoprire l’altro significa anche cercare dove non avremmo mai guardato; e le tradizioni culinarie lontane, specie le meno conosciute, possono essere una bella opportunità per il futuro.

Per il futuro di Torino, quanto è importante saper coinvolgere realtà diverse?

«Fin da subito, essendo Smith’s British una realtà inedita nel panorama italiano, ha attirato l’interesse di molti. Io sono qui da tanto tempo e ho visto nelle Olimpiadi del 2006 una sliding door importante, una città più aperta, più simile alla mia Inghilterra che già tanti anni fa era specchio del mondo. Vedo una Torino che cambia, ma dovrebbe farlo di più. Spesso chi si cimenta nella riproposizione di altre culture, a tavola e non, lo fa per gioco; invece è una cosa seria. Per cucinare in modo autentico devi vivere il mondo che vuoi riproporre a tavola, non si tratta di imitare. La ricetta è quindi un mix di coraggio e autenticità. Vengono da Milano per mangiare cucina britannica da noi, perché siamo veri. Credo che dopo questo periodo la gente abbia bisogno di profumi diversi, di viaggiare e provare cose nuove; quindi Torino deve dare la possibilità di viaggiare a casa propria, di esplorare il mondo, ma anche la stessa Italia, a chilometro zero, con un’offerta varia ma soprattutto vera».

Molti non conoscono la cucina inglese. Ce la racconti un po’?

«La cucina britannica si è abbastanza persa dopo la guerra, per svariati motivi, tra cui la spiccata industrializzazione del settore alimentare. Parlo di cucina britannica perché le mie origini mi legano anche a Scozia, Galles e Irlanda; da questa varietà deriva una certa ricchezza gastronomica, le cui ricette, però, sono uscite dai radar della nostra tradizione un pezzo alla volta. Certo la cultura britannica non ha aiutato: è molto diversa da quella italiana, in parte “ossessionata” dal cibo e un po’ unica al mondo. Solo negli anni ’90, con i cuochi famosi, anche inglesi, alla TV, abbiamo iniziato noi in primis a recuperare la cucina britannica. Una cucina molto vegetale, fatta di verdure decisamente crunchy, spesso protagoniste dei piatti insieme ai nostri tagli di carne, morbidi e saporiti perché provenienti dai  grandi pascoli della mia terra. La cucina britannica è proprio interessante perché solo in questi anni si sta riappropriando della sua cultura, che per questo motivo risulta fresca, viva, contemporanea; e lo si vede dall’offerta tutta nuova dei pub inglesi, sempre più alla riscoperta delle origini, che è poi quello che cerchiamo di fare noi qui».

Smith’s Britishvia Virle, 19

 

Maddalena Raffa

Per gli universitari di Palazzo Nuovo è una sorta di istituzione. Per i torinesi è diventato nel tempo uno dei riferimenti della cucina thai cittadina. Piccolo, anzi minuscolo, colmo di profumi e colori, estremamente real. Sono questi i punti di forza di Curry & Co. (via Verdi, 45) e della sua padrona, Maddalena. Poco spazio per le chiacchiere (poco spazio in generale) e piatti che trasportano direttamente in Thailandia. Curry di ogni tipo, pad thai… tutto è proprio come dovrebbe essere: caldo, buono, profumato, vero.

Siete molto “piccoli”, ma un vero riferimento per questo tipo di cucina. Qual è la ricetta?

«La ricetta è semplice come lo sono le ricette buone: amore e passione. Otto anni fa le mie figlie andavano alle medie, noi abitavamo fuori città e io volevo trovare un modo per stare loro vicina. Questo posto nasce così, con l’amore di una mamma che cucina come se ogni volta lo facesse per le proprie figlie. In questo modo potevo vederle ogni giorno, e nel frattempo di qui passavano liceali, universitari… tanti giovani, ed è stato un po’ come avere moltissimi figli.L’amore per la cucina thai esplose invece nel 2009, dopo un viaggio in Thailandia: fu un colpo di fulmine per quella cultura e infatti, da quel momento, due volte all’anno torniamo in Thailandia, anche per aggiornarci sulle ricette. Portai la cucina thai prima a casa e poi da Curry & Co. Da lì è stata una crescita continua, una passione diventata lavoro, decisamente impegnativa ma sempre con l’amore del primo giorno. Questa è la ricetta, per me è l’unica, e nel tempo ha pagato».

Per il futuro di Torino, quanto è importante saper coinvolgere realtà diverse?

«Nella mia vita ho viaggiato non poco, e mi sono sempre portata appresso le cose viste altrove, mi hanno fatta crescere. Per questo, ciò che arriva da fuori è fondamentale: perché ci apre a mondi e culture diverse. La cucina in particolare è uno strumento di conoscenza incredibile, avvicina luoghi lontani e ne semplifica la comprensione; o meglio la agevola. Dal mio punto di vista, Torino è città open minded; paradossalmente, più di trent’anni fa trascorsi un anno a Londra e mi sembrava all’epoca una città un po’ chiusa, mentre adesso non lo è nella maniera più assoluta. Anzi, ha fatto della diversità virtù e pregio, un motivo di ricchezza per cui è riconosciuta a livello globale. Quindi si cambia, si può cambiare e l’altro può essere una bella risorsa. Mangiare unisce e collega, i mondi e le persone; e io vedo ogni giorno tanti giovani già in questo mood. Siamo un minuscolo pezzo di mondo, noi come Torino, ma in fondo pieno di tanti altri mondi diversi. È la nostra fortuna».

Curry & Co.via Verdi, 45