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Food & drink. Storie di protagonisti

Ep. 1 - Eccellenze consolidate e nuove referenze

di TOMMASO CENNI

Estate 2020

TRA ECCELLENZE CONSOLIDATE E NUOVE REFERENZE, VI PROPONIAMO QUATTRO INTERVISTE PER ESPLORARE LA TORINO DEL GUSTO, DEL CIBO D'AUTORE E DEI BARTENDER METROPOLITANI

Uno scenario dove formule originali e curiose ci raccontano la città anticipando stili e tendenze del futuro. Quattro protagonisti del Food&Drink di questa estate torinese: Davide Terenzio Pinto di Affini e Rivendita n.2, Carlotta Rubia barlady di Casa Mago, Beppe Gallina della Pescheria di Porta Palazzo e l’ungherese Tunde Pecsvari di Macha Café.

 

Davide Terenzio Pinto

43 anni, laureato in Lettere e Filosofia, imprenditore e inventore, tra gli altri, di Affini e Rivendita n.2. In pratica, l’uomo che ha rivoluzionato e reinventato il concetto di apericena nella città dell’aperitivo formato cena. Innovativo, internazionale, filosofico, è l’uomo giusto per spiegarci in che direzione va, o dovrebbe andare, il mondo del food torinese.

Come immagini il tuo lavoro e la tua offerta nel futuro della città? Qual è la tua formula vincente dell’estate?

«L’8 marzo per noi, e non solo, è stata una data importante. Abbiamo deciso di chiudere e ci siamo sentiti parte di un sistema di cui il lato economico è appunto solo un lato. Stando a casa, questa situazione ci ha dato la possibilità di riscoprirci più aggregati che mai, come team, come uomini, e abbiamo iniziato quasi per gioco a immaginarci un’alternativa; il lockdown più o meno consapevolmente ci ha dato matite, pennarelli e un foglio bianco sul quale disegnare e colorare il nostro futuro. Un futuro dettato dagli input digital e green che questa crisi ha accelerato, in cui ci siamo ritrovati a condurre vere e proprie indagini socio-psicologiche sui nostri clienti bloccati a casa. Ci siamo chiesti cosa mancasse loro, e ci siamo risposti la compagnia, lo svago del tempo libero, l’aperitivo di Affini. Di lì in poi è iniziato un altro brainstorming per capire loro partendo da noi, per affrontare le normative per certi versi assurde e cambiare (nuovamente) il format dell’aperitivo. Per primi in Italia abbiamo disegnato e reso concreto l’aperitivo a casa, anche con le critiche che normalmente attirano quelli che tracciano la prima linea su quel famoso foglio bianco. L’abbiamo fatto alla nostra maniera: con un QR code per sentire le nostre colonne sonore, la possibilità di confrontarsi continuamente con il nostro barman e il mezzo litro, semplice ma geniale invenzione di Michele Marzella. Adesso che si può fare, la gente esce e viene da Affini perché vuole i nostri cocktail, perché durante il blocco facevamo 500 cocktail al mese e li portavamo noi di persona.

Tu mi chiedi come sarà il futuro di questo lavoro e qual è la formula vincente? In realtà sono un po’ la stessa cosa, e cioè prendere a riferimento, a prescindere da ogni calcolo, il sentiment delle persone, il rapporto vero con il cliente. Tutto il resto cambierà, muterà, e noi dovremo essere tattici, cioè pronti e rapidi a reagire a ogni nuovo input; e pure strategici (perché la differenza non è da poco) nel capire che il futuro, e l’abbiamo visto in questi mesi, sarà di chi saprà essere responsabile. Questa estate, ma anche la prossima e chissà quante altre, vorrei che il mio lavoro fosse animato da emozioni simili a quelle che mi hanno evocato gli occhi blu della ragazza a cui abbiamo fatto la prima consegna a casa in una Torino di una bellezza struggente. Vorrei che il futuro food della città che amo seguisse una strada fatta di empatia, e di microeconomie che battono all’unisono con Torino e che non abbiano mai paura di tracciare la prima riga per un futuro altro su un foglio bianco».

Carlotta Rubia

29 anni, barlady cresciuta alla scuola di Mirko Turconi, vincitrice del Mediterranean Inspirations 2018, il contest internazionale di bartending firmato Gin Mare. Ora anima del cocktail bar di Casa Mago, altra invenzione dello stellato Marcello Trentini. Femminilità, fascino, conoscenza e un pizzico di creatività, il cocktail perfetto è questione di dosi, chi meglio di lei per raccontarcelo?

Come immagini il tuo lavoro e la tua offerta nel futuro della città?

«Il mondo della miscelazione è ancora un po’ sottostimato in Italia, abbiamo fatto importanti passi in avanti ma all’estero, specie in America, possiamo osservare realtà completamente diverse, molto più evolute e ampie, a cui dovremmo guardare per prendere esempio. Sono felice che tra questi quattro personaggi del contesto torinese ci sia anche la voce di una bartender: avere la possibilità di parlare e raccontare non solo attraverso i cocktail è importante per la professione. Io immagino una Torino in cui capovolgiamo la percezione culturale riferita a chi sta dietro a un bancone, e me la sogno più simile a quella che anni fa mi ha spinto a intraprendere questo percorso. E cioè entrare in un bar o in un locale e vedere in chi mi serve un confidente, un custode di un momento di serenità, un appuntamento emozionale quotidiano. La movida, soprattutto nell’ultimo periodo, è stata fin troppo bistrattata, lei e tutto il suo indotto di lavoratori, mentre sarebbe importante raccontare la magia di questo mondo, non solo gli aspetti pseudo negativi e spesso fuorvianti. La mia generazione, giovane, ha nell’indole l’idea che anche le cose più negative si possano modificare, e quindi che anche le persone più lontane da questa realtà possano trovare, se ben sollecitate, gli spunti per avvicinarsi».

Qual è la tua formula vincente dell’estate?

«Dopo un periodo tanto complesso per tutti, passato a farmi più domande del solito, e quindi a cercare più risposte del solito, quest’estate anzitutto mi serve il buon umore. Per questo, come spunto della ricetta vincente (di un cocktail ovviamente) per la mia estate, scelgo il basilico. E cioè scelgo i ricordi d’infanzia, me bambina, con i nonni in Liguria e le estati trascorse in Puglia. Mi serve qualcosa di fresco, agrumato… allora opto per un Gin Basil Smash, semplice, buono e rivitalizzante come l’estate che vorrei. E il basilico lo utilizziamo anche per le decorazioni, d’altronde quale italiano non ha in casa del basilico (e negli ultimi tempi anche del gin)? Ripartiamo da ciò che abbiamo in casa, da sempre, da ciò che ci fa stare bene, dai ricordi d’infanzia e dai compagni di vita. Come il pomodoro e il basilico, colori di ogni pranzo a casa dei nonni. A proposito, se volete aggiungere al nostro cocktail un ciliegino, esce una bomba, parola di Carlotta. 45 ml di gin, 25 ml di succo di limone, 10 ml di sciroppo di zucchero, 5 foglie di basilico, 2 pomodori ciliegino, tutto nello shaker (i pomodorini tagliati a metà), shakerate e filtrate in un tumbler basso, aggiungete il ghiaccio e decorate con scorzetta di limone e basilico».
(© Stefano Caffarri)

Beppe Gallina

Quarta generazione della famiglia Gallina, gestori di pescherie nell’animo. L’uomo che ha preso la lunga tradizione dei Gallina e, sempre a Porta Palazzo ma più defilato, ha scritto un fondamentale pezzo di storia familiare. Pescheria con prodotti dalla Liguria praticamente a km 0, solo qualità eccelsa e cucina al momento del pesce fresco. Coraggioso, innovatore, genuino, Beppe è un’altra scelta giusta.

Come immagini il tuo lavoro e la tua offerta nel futuro della città?

«Quest’anno compio 50 anni, da cinque servo da mangiare nella Pescheria. Porta Palazzo è uno dei più grandi, importanti e rispettati mercati d’Europa, e un giorno mi sono chiesto perché nessuno avesse mai pensato di offrire una proposta food freschissima a chi veniva qui a fare la spesa, specie di alimenti come il pesce. Nessuno intraprendeva questo percorso e allora ho deciso di farlo io. Anche perché Torino va, e già allora la direzione era questa, verso un radicale cambio di rotta, e cioè verso un’economia sempre più legata al turismo; non quello da Gardaland ma un turismo vero fatto di esperienze, storie e sostanza. Da allora ho incassato tante soddisfazioni e di conseguenza per il futuro mi immagino di ricevere molte altre gratificazioni da questa esperienza. La mia offerta food non è mai stata una questione di soldi, la mia professione, che poi è quella storica familiare, è la Pescheria, il mercato ittico duro e puro. Questa storia del servire da mangiare è nata, cresciuta e tuttora vive quasi come un hobby, un piacere, un divertimento. D’altronde, raggiunta una certa età, uno deve anche divertirsi, non può pensare solo ai conti, e di conseguenza, un po’ per caso e un po’ no, lavorando a questa proposta con passione è venuto fuori un prodotto vincente, che gli altri provano a emulare senza riuscire ad assomigliarci. Siamo fortunati perché lo facciamo per divertirci, divertendoci, e questo è un punto in più che, per ovvie ragioni, quasi nessuno può avere in comune con noi. Nel futuro c’è l’idea di continuare su questa strada».

Qual è la tua formula vincente dell’estate?

«Magari avessi la formula vincente. Non ce l’ho ma ho degli insegnamenti. Ho il ricordo di mio nonno che mette due macchinine sul tavolo e le fa viaggiare con le mani una dietro l’altra. Mi spiega che io sono la macchinina che segue, e che continuando a comportarmi così non saprò mai se ho imparato a guidare o se emulo solamente chi mi precede. Mi dice che, se quello davanti fa una curva in montagna troppo forte e io non sono altrettanto in gamba, finisco fuori. E che, se anche dovessi essere bravo come lui, pensa che delusione quando, arrivato in cima alla montagna, che l’altro ama, mi dovessi accorgere che ho sempre desiderato il mare. E io di mare ne so abbastanza. Per quanto adesso si debbano rispettare norme di sicurezza e convivenza ‘speciali’, la base è la convivialità: non ci snatureremo mai, non cambieremo la formula, il prezzo o il nostro rapporto con il cliente per agenti esterni. Sarebbe come rinunciare al nostro percorso, a noi stessi in fin dei conti. Impara l’ammirazione, prendi spunti dagli altri ma lavora sul tuo ego e sui tuoi sogni. Essere la versione più vera, e migliore, di se stessi è la mia formula vincente dell’estate, ognuno deve trovare la propria».

Tunde Pecsvari

Ungherese, italiana d’adozione, grande appassionata ed esperta di vini. Chief executive officer di Macha Café, catena milanese di locali contemporanei e fusion dove occidente, oriente e bellezza si mescolano continuamente. Dopo il successo ottenuto dai cugini, Macha Café ha aperto a giugno a Torino, in via Amendola, con grandissime aspettative per il domani. Chi meglio di lei per disegnare sfumature sul futuro della nostra città?

Come immagini il tuo lavoro e la tua offerta nel futuro della città?

«Fin dalla sua nascita nel 2016 Macha Café guarda al futuro, fin da quando portammo per primi in Italia la sushi bowl, antenata della poke ormai esplosa sia a Milano che a Torino. Nella nostra indole c’è da sempre la predisposizione ad avere lo sguardo rivolto al domani, e questo ci aiuta molto. Cerchiamo di essere innovativi a 360 gradi, fuori dagli schemi, internazionali, green, anticipatori. Non abbiamo il servizio al tavolo e chiamiamo i clienti con il loro nome, e anche nella comunicazione, social o meno, abbiamo spesso portato alla formazione di tendenze poi seguite e applicate da altri nel settore. Il futuro, nella nostra idea di mondo e di business, cerchiamo di viverlo un po’ ogni giorno, e il futuro di Torino, se mi chiedete di immaginarlo, mi piacerebbe vederlo con più locali simili a noi e alle nostre idee di innovazione; e in parte sono sicura che sarà così».

Qual è la tua formula vincente dell’estate?

«Senza giri di parole, è stato ed è un momento complicato che ci porta per sopravvivere a essere forti, creativi e capaci di adattarci alle avversità per riuscire a progettare in maniera efficace. La situazione di Milano è molto diversa da quella vista a Torino, quindi la mia ricetta sarà ovviamente diversa. Là parlerei molto più del delivery, ambito in cui già avevamo basi importanti e che ci ha permesso di restare aperti ogni giorno senza interrompere mai la nostra attività, mantenendoci vicino alla nostra clientela anche durante il lockdown. A Torino è stato molto diverso, stiamo lavorando oltre ogni più rosea aspettativa, abbiamo addirittura aumentato il personale ed esteso l’orario di lavoro. Già a dicembre era cominciata la nostra attività di comunicazione sul brand e siamo contenti di raccogliere ora i frutti, e di aver ricevuto un’accoglienza tanto calorosa. Infatti, per Torino, più che della formula vincente che sarà, parlerei di quella che ci ha guidato fino alla recente apertura, ovvero l’importanza che dedichiamo alla comunicazione. Un’attenzione a tutto tondo, in particolare sui social, a cui teniamo moltissimo, e che su Torino ha funzionato alla perfezione. La ricetta, quindi, è comunicare, farlo bene e curando ogni dettaglio, perché non sarà mai ‘troppo’; guidati dalla convinzione che il rapporto con il locale e le sue idee non debba finire una volta usciti dalla porta, ma continuare a casa, sul tram o passeggiando, sempre attraverso una comunicazione vicina, attenta e aggiornata».