«Ciao».
«Ciao».
«Pensi che fra trent’anni potremmo rivederci qui?».
«Non so, sono tanti trent’anni».
«Cosa pensi che succederà?».
«Credo cambieranno tante cose».
«Io e te?».
«Dipende».
«Da cosa?».
«Non è una cosa sola. Dipende da me, da te, da come andrà oggi. Non so se ha senso chiederselo adesso».
«No, forse non ne ha».
«Però, se vuoi, possiamo immaginare. Senza impegno eh. Immaginare i prossimi trent’anni, cosa vorremmo, cosa potremmo fare. Oggi camminiamo e immaginiamo. Ti va?».
«Ci sto».
«Andiamo».
«Illuminami».
«Beh, c’è il sole. Te la ricordi la storia dei tavolini in piazza Vittorio?».
«Come dimenticare».
«Allora ripartiamo da lì, da un’amica che serve ai tavolini del Nat. Ho gli occhiali da sole nuovi e vorrei usarli, però per prendere il sole avremo questa estate: adesso abbiamo troppe cose da fare».
«Tipo?».
«Tipo farti vedere i giardini reali, che tutti conoscono e in pochi ci vanno; e i giardini interni nascosti dietro ai portoni di vecchie, bellissime case, che nessuno conosce e chi ci abita se li gode dal balcone nei silenzi di sole della domenica mattina. Via Carlo Alberto, via Lagrange, via Accademia. Poi un’altra dose di sole in piazza Bodoni, che se ti concentri senti le prove al Conservatorio».
«Dovremmo fare silenzio».
«Semmai ci avviciniamo un po’».
«Hai ragione».
«E ci sono le ragazze con le custodie degli strumenti che chiacchierano appoggiate all’entrata. E ci passiamo davanti mentre in piazzetta Cavour tre bambini giocano con la palla, e non sai che voglia avrei».
«Se vuoi ci fermiamo un attimo».
«Sei gentile».
«Quando capita».
«Sei sempre gentile, almeno così la penso io, se no mica staresti ad ascoltarmi per tutto questo tempo. Davvero, mi siederei sul prato a guardare tre bambini e un pallone insieme a te tutto il pomeriggio, ma non abbiamo troppo tempo. Ci sono altri giardini, altri campanelli da suonare… sperando capiscano la curiosità».
«A proposito di curiosità, i trent’anni?».
«Aspetta, ci arriviamo».
«Arriviamo dove?».
«Al lungo Po, sempre più bello, più parigino. Ormai il sole cala tardi e torniamo da dove siamo partiti, in piazza Vittorio. Trent’anni fa mia madre è arrivata qui a Torino e abitava con mio padre, che qui c’è nato. Stavano in una soffitta nella piazza più bella d’Italia. Almeno oggi lo è, un tempo era sterrato, ciottoli e tante macchine».
«Quindi le cose non peggiorano per forza?».
«No, non per forza. Guarda piazza Castello: alcuni preferivano come era un tempo, con le macchine, il rumore, grande snodo di tutto. Ma se ci sediamo su una panchina in legno, col Palazzo alle spalle, il sole di fronte, il rumore dell’acqua di un ‘turet’, non puoi non innamorarti di com’è adesso».
«Sicuro?».
«Beh proviamo. Di lì si vede via Garibaldi, che un tempo ci passava il tram di cui mi racconta mia nonna. Mi racconta dei pensieri con la testa appoggiata al finestrino, di chi rischia di cadere per guardare una ragazza, di chi torna a casa a fine giornata, e si gode solo il viaggio. Che se ci pensi succede anche a me, nonostante sia passato tanto tempo; chiaramente non sul tram in via Garibaldi. Cambiano le strade, ma forse noi non cambiamo mai più di tanto».
«Credo tu abbia ragione. Quindi per quel discorso dei trent’anni abbiamo qualche speranza?».
«Spero proprio di sì».
«Anch’io. Però adesso mangiamo, facciamo pranzo con un gelato?».
«Forse è il mio primo dell’anno».
«No, io ho preso una vaschetta l’altra sera».
«Beh, il primo con te sicuro».
«Dai, io nocciola e pistacchio».
«Crema».
«Crema e?».
«E basta. Un po’ banale eh?».
«No, mi piace. Ora che si fa?».
«Ora stai attenta, che fa caldo e cola».
«Qual è il gelato più bello che hai mai mangiato?».
«In che senso ‘bello’? ».
«Beh, un gelato che ti ricordi se pensi al gelato».
«Da domani questo, credo… Prevedibile?».
«Un po’. Ma fa piacere. Vai pure avanti».
«Ecco, ora avrei voluto perdermi un po’ fra certe vie che vanno al Quadrilatero. Volevo raccontarti del Bicerin, ma forse fa troppo caldo e preferisco piazzetta IV Marzo, che mi sa di Costa Azzurra, come la lavanda».
«Mi è piaciuta un sacco la lavanda».
«Meno male. E speriamo che un uomo suoni qualcosa, e che stasera si trovi un posto qui in piazza per mangiare. Coi tavolini fuori e un buon apericena».
«Poi?».
«Poi camminerei fino alla macchina, che ci tocca un ultimo viaggetto. Devo dire che camminiamo abbastanza quando vieni a Torino».
«È bello no?»
«Molto bello. E sai cos’è più bello? Quel ritorno che canti e poi ti addormenti subito dopo»
«Non subito, subito».
«Quanto basta diciamo».
«Basta a cosa?».
«A sentirti prima cantare e poi ripensare
a tutta la giornata».
«E al ritorno che fai?».
«Mi godo il viaggio e penso a cosa prepararti per la prossima volta».
(Foto di ROBERTA LAVAGNO)