L’arte dei geni senza tempo crea ponti e mai confini. L’arte è bellezza condivisa, l’arte rende superflue le frontiere e suggerisce opportunità. Così, l’anno di Leonardo, icona del Rinascimento italiano, ci fa guardare a quella Francia dove trascorse gli ultimi anni, e dove si può ammirare la ‘Gioconda’, il ritratto più celebre di tutti i tempi. Gli approdi del nostro viaggio sono tre: la Valle della Loira, tappa conclusiva della sua vita, Parigi, che custodisce il suo capolavoro, e l’Alsazia, dove la cucina d’eccellenza 74 oggi è arte applicata, scienza del futuro, come quella che Leonardo si prodigò a progettare durante tutta la sua esistenza.
Parafrasando Pavese e il suo «un paese ci vuole», possiamo dire che, tra i paesaggi pennellati della Valle della Loira, un castello ci vuole. Ci vuole sempre, e ognuno trova il suo preferito, tra forme, azzardi e prospettive teatrali. E il mio, in questo caso, è Azay-le- Rideau. La magia nasce dalla posizione, con le sue forme che si specchiano nell’Indre, facendo immediatamente pensare a un maniero delle fiabe. Facciate candide, ripidi tetti spioventi, torri aguzze a contenere un gioiello nato per essere il simbolo di un ‘Rinascimento sognato’, dove il mondo ingrandiva i suoi confini verso terre sconosciute, dove la mitologia e le arti antiche venivano prese a modello da artisti e maestranze francesi, fiamminghe e italiane. Al suo interno, tre secoli di arredi offrono al visitatore l’impressione che i proprietari abbiano appena lasciato gli ambienti. Incanto completato dalle meccaniche teatrali di Piet.sO e Peter Keene, artisti contemporanei che hanno rievocato l’immaginario del Rinascimento con opere, automi e installazioni. Dal 29 giugno al 1° settembre, nell’ambito del progetto ‘Viva Leonardo le visionnaire’, la società Explore Studio allestirà uno spettacolo notturno dal titolo ‘Azay et les nouveaux mondes’, mentre, a partire dal 7 luglio, debutterà un percorso di visita completamente nuovo per la piena valorizzazione del monumento, dove il pezzo forte saranno le installazioni oniriche ‘Les enchantements d’Azay’, al primo piano.
Se tutti conoscono Azay-le-Rideau, tutti dovrebbero conoscere anche Rivau, splendido maniero medioevale in una terra di castelli rinascimentali. Questo è il luogo della sorpresa, della favola, del gioco e anche della provocazione. Legato a Rabelais, che lo valorizza nel suo ‘Gargantua’, Rivau è circondato dai lussureggianti giardini di un parco vasto 12 ettari. Qua e là, installazioni contemporanee, anche enormi, mettono in scena, con ironia, il mondo delle fiabe. Ma è all’interno del castello che si resta senza fiato. Qui il gioco tra passato e presente si fa serrato e la creatività procede decisa senza fare prigionieri. Il Medioevo e il Rinascimento vengono presi a spunto da opere contemporanee, plastiche e pittoriche, che citano, sbeffeggiano e si contaminano con pezzi originali.
Nelle grandi sale si riconoscono pezzi di Jeff Koons, Théo Mercier, Marnie Weber e Julien Salaud, che ha posizionato la sua ‘Jean d’Arc de plumes’ proprio nella cappella consacrata alla pulzella d’Orléans. In questo contesto si inserisce l’esposizione ‘Hommage à Léonard et à la Renaissance’: l’unica mostra dedicata esplicitamente all’arte contemporanea nel programma francese delle celebrazioni. Ma, attenzione, non è una mostra concentrata in una sede propria, bensì compare dilazionata nelle diverse sale, quasi mimetizzandosi con le altre opere e l’arredo. La confusione non disturba, anzi: si cerca, si trova, si vede, si sorride e si ragiona; si diventa parte del tutto e non si subisce passivamente la proposta artistica. Le opere sono 35, di altrettanti artisti provenienti da tutto il mondo, con l’interpretazione fotografica, pittorica e plastica delle più note opere del maestro di Vinci.
Ma, da pochi mesi, Rivau permette anche un’esperienza immersiva fuori dal comune: in uno degli edifici del castello sono state allestite sette camere storiche, con arredi in stile rinascimentale. Si alloggia in uno spazio fuori dal tempo, avvolti dalla storia e circondati dall’arte. A pochi chilometri da Rivau, la prima tappa gourmet del nostro viaggio: l’Auberge de l’Île (3 place Bouchard, L’Île Bouchard, tel. +33.2.47585107). Arredi design e calorosi, menù del territorio accostanti alle migliori referenze della Loira, sapori classici proposti con ben calcolata originalità. Dormire a Parigi, dove venne nascosta la ‘Gioconda’. È possibile? Sì. A patto di prenotare la Chambre de l’Adorateur all’Hôtel Da Vinci (25 rue des Saints- Pères, tel. +33.1.55354188), incantevole quattro stelle a 15 minuti a piedi dal Louvre, dove avvenne il furto più celebre della storia della pittura. Il ritratto, che Leonardo dipinse e ridipinse forse per dieci anni, arrivò in Francia con lui e fu probabilmente venduto a Francesco I.
Dopo aver ‘dormito’ con Napoleone Bonaparte, la ‘Gioconda’ venne esposta al Louvre a partire dal 1804 ma, nella notte tra domenica 20 e lunedì 21 giugno del 1911 (giorno di chiusura del museo), venne rubata da Vincenzo Peruggia, italiano convinto che il quadro appartenesse di diritto al suo Paese. Del furto, che fece ovviamente scalpore, venne incolpato Apollinaire e sospettato Picasso. Certo nessuno pensò all’ineffabile Vincenzo, che passò la notte in uno sgabuzzino del Louvre e se ne uscì all’alba con la ‘Gioconda’ nascosta dal cappotto. La preziosa refurtiva venne occultata, prima in una valigia e poi in un’apposita scatola di legno, sotto il letto di Peruggia nella stanza dove alloggiava, all’ultimo piano della pensione che poi sarebbe diventata l’Hôtel Da Vinci. Oggi la Chambre de l’Adorateur ricorda pienamente la vicenda e i suoi protagonisti: una copia della ‘Gioconda’ fa capolino da una valigia e alcune scale appese alle pareti ricordano la ‘fissazione’ di Peruggia, quella di fuggire dai tetti se fosse stato scoperto. Ma, oltre che per la richiestissima stanza del celebre ‘voleur’, l’hotel si segnala per la ricerca e la cura di tutti gli ambienti – ognuna delle 24 camere ha un tema, legato all’arte e al Rinascimento – per il servizio cortese e impeccabile (alla reception si parla italiano), per il café dove viene servita la prima colazione (ispirato al Florian di Venezia), per la piccola SPA foderata di mosaici e dominata dalla luminosa jacuzzi. Nel cuore di Saint-Germain-des-Prés, l’Hôtel Da Vinci tiene fede al proprio motto – ‘une adresse comme un roman’ – e costituisce l’approdo ideale per scoprire la Parigi dell’arte e dei grandi sapori d’eccellenza.
Dicevamo del Louvre a 15 minuti a piedi, magari con una sosta dai romantici bouquiniste lungo la Senna, ed è una passeggiata che permette di raggiungere rapidamente il più visitato museo del mondo. Ogni anno sono poco meno di dieci milioni i visitatori per questa metropoli della cultura che, coi suoi capolavori, distanzia nettamente il MET di New York e i Musei Vaticani (a quota sei milioni o giù di lì). Consiglio: scegliete cosa vedere (arte egizia, pittura italiana…) e fermatevi a quello. L’alternativa è procedere stancamente, sconfitti dalla fatica e ciondolanti, senza più sapere dove siete. Secondo consiglio: se avete anche solo un accenno di claustrofobia, rinunciate, la folla della metropolitana in confronto è un deserto. La ‘Monna Lisa’ va vista, ma preparate i gomiti: nella grande sala a lei dedicata la gente è un muro e gli smartphone decorano una foresta di braccia tese. Ne vale la pena? Sì. E forse non so neanche dirvi perché. Ma quel volto enigmatico, separato dalla moltitudine da un cordone che sa tanto di confine del red carpet, sembra proprio dire «guardatemi». E lo fa dal piccolo di una tela da viaggio, quella che Leonardo si portava appresso ovunque, mettendoci mano la sera, da solo, come un innamorato.
E dall’arte del ritratto passiamo all’arte del gusto, incontrando il più leonardesco degli chef parigini, Yannick Alléno: 50 anni, tre stelle Michelin nella capitale (al Pavillon Ledoyen, 8 avenue Dutuit, tel. +33.1.53051000), altre tre stelle a Courchevel, 17 ristoranti in giro per il mondo, quarto posto nella classifica internazionale degli chef giudicati dagli altri chef, 29° posto dei 50 best, numerosi libri e persino una rivista, YAM (Yannick Alléno Magazine), con 25mila copie di tiratura. Il suo successo più recente è la prima stella Michelin per l’Abysse, secondo ristorante del tristellato Pavillon Ledoyen. Difficile trovare qualcun altro così trasversale in uno scenario altamente competitivo, dove è arduo eccellere ovunque.
Dicevano ‘leonardesco’, perché? Perché la sua cucina è rigore, ricerca, risultato e festa allo stesso tempo. Lo stupore deriva dalla somma degli elementi (mai troppi, mai troppo pochi), dallo studio per i tempi e per le attrezzature utilizzate (come un ingegnere dei sapori), e poi, a completare il capolavoro, arrivano l’arte, l’istinto per il colpo di teatro. Difficile, quindi, non pensare a Leonardo, uomo di scienza ma anche di spettacolo, di arte e di fantasia. Il suo strumento principale, quello che lo sta facendo passare alla storia della cucina? La salsa: come uno scienziato, o meglio un alchimista, Alléno ha brevettato il metodo ‘extraction’, mettendo in pratica una vera e propria rivoluzione dove vincono la leggerezza, l’essenza, l’accordo vegetale. I suoi menù sono eccellenza e audacia, alla continua ricerca della quintessenza del gusto. Ma l’aggettivo ‘leonardesco’ è anche meritato per il suo amore per la cucina italiana e i suoi ingredienti: «Nella vostra tradizione si compiono meraviglie con prodotti semplici. È l’opposto della cucina francese, da sempre espressione di materie prime costose». E ancora Italia nella scelta del suo braccio destro, ma verrebbe da dire alleato, Martino Ruggieri, classe 1986, pugliese. Il suo rapporto con Alléno è continuamente stimolante: «Yannick non solo mi lascia spazio, ma mi invita ad andare sempre oltre, a trovare costantemente nuove soluzioni. Non è facile incontrare un tre stelle così propenso all’innovazione e alla ricerca».
E adesso andiamo a curiosare tra cosa c’è di nuovo nella scena gourmet parigina. All’ultimo piano dell’imbarcadero dei bateaux mouches ha da poco riaperto i battenti il ristorante Le Club (Port de la Conférence, Pont de l’Alma, tel. +33.1.42258251), uno degli indirizzi insoliti e segreti della capitale. L’ambiente è anni Trenta, con le originali poltrone in cuoio a sostituire le sedie, e ricorda un’epoca dove il locale, allora club privato, veniva frequentato dal jet set parigino. La prospettiva sulla Senna è superba, maestosa la vista sulla Tour Eiffel. Segnata da due forti personalità la cucina, votata risolutamente alla bistronomie: gli interpreti di sapori tradizionali che strizzano volutamente l’occhio alla cucina del Sud Ovest sono Christian Etchebest e Romain Casas. Il primo, più esperto e rodato, vanta numerose esperienze in ristoranti stellati, mentre il secondo, di soli 26 anni, è talento puro, tutto energia e curiosità, di ritorno a Parigi dopo lusinghieri successi londinesi. Le Club è da provare prima che gli altri ve lo raccontino; ne sentiremo presto parlare, e molto bene.
Ma qual è oggi l’approdo di tendenza per la clientela più giovane e curiosa? Sicuramente Malro (7 rue Froissart, tel. +33.1.42773847), neobrasserie mediterranea nel cuore del Marais curata da Denny Imbroisi. Il nome prende spunto dalla legge Malraux che, nel 1962, si proponeva di tutelare il patrimonio culturale del quartiere. Malro è aperto a pranzo, la sera chiude tardi e offre proposte assolutamente eterogenee: un’impeccabile pizza all’italiana che i clienti adorano, antipasti di mare e vegetali in linea con lo spirito mediterraneo della casa, carni alla brace cotte su carbone di legna argentino (spettacolari); solida carta dei vini, ma gli habitué preferiscono accostare i piatti ai cocktail della casa. Che l’Italia dei sapori sia nel cuore dei parigini lo potrete facilmente verificare facendo una passeggiata di 15 minuti, e raggiungendo il 37 di rue Sainte-Croix de la Bretonnerie. È questo l’indirizzo di Eataly Paris: 2500 metri quadrati di superficie aperta al pubblico, 300 dipendenti per metà italiani e per metà francesi. Orari di apertura addirittura inusuali nella Ville Lumière – sette giorni su sette fino a mezzanotte e domenica fino alle due – con un massiccio consenso di pubblico fin dal primo giorno di apertura, il 12 aprile. Le proposte più amate? Il mercato ortofrutticolo italiano e la scuola di cucina.
Il progetto è ambizioso fin dalla scelta della location: un palazzo d’epoca nel quartiere più costoso della capitale, il Marais, riconosciuta base delle élite creative e culturali d’Europa. Se il concetto mantra della cucina francese nell’ultimo decennio è bistronomie – ossia il bistrot proposto da un grande nome della ristorazione – a Parigi si è installato l’avamposto più autorevole di questa formula: Beaupassage, dal 53 al 57 di rue de Grenelle. Tra ‘les artisans commerçants’ coinvolti nel progetto troviamo nomi del calibro di Thierry Marx (due stelle Michelin), Nicole Barthélémy (la regina dei formaggi), Alexandre Polmard (il re delle carni), Yannick Alléno (di lui ormai sapete tutto o quasi), Pierre Hermé (leggenda della pasticceria e artista del cioccolato), Anne- Sophie Pic (tre stelle Michelin) e Olivier Bellin (due stelle Michelin). Ognuno di loro ha uno spazio dove l’eccellenza incontra la ragionevolezza nei prezzi e l’unione fa la forza, anche sul fronte della comunicazione. Prima di lasciare Parigi abbiamo ancora una tappa e, anche in questo caso, il pensiero richiama Leonardo, con le sue macchine e le grandi feste rinascimentali. Il genio di Vinci avrebbe sicuramente amato quella ‘scatola delle meraviglie’ che si trova al 116/bis di avenue des Champs-Élysées dal 1946, quando i fratelli Joseph e Luigi Clerico (piemontesi di Campiglia Soana) aprirono un cabaret unico al mondo, il Lido (tel. +33.1.40765610), ispirato al mood delle spiagge veneziane. Sulla sua ribalta si sono esibite le famose Bluebell Girls, in sala venne brevettata la celebre formula del diner-spectacle e, nel corso degli anni, il locale ospitò nomi del calibro di Édith Piaf, Maurice Chevalier, Marlene Dietrich, Laurel & Hardy ed Elton John. Il Lido sembra essere il diretto discendente delle ‘feste con macchine’ rinascimentali e le sue produzioni hanno sempre avuto quel ‘fattore wow’ innescato da scene che si alzano e si inclinano, da giochi d’acqua sorprendenti, da macchinari che sollevano gli artisti in un continuo gioco di prospettive.
Meraviglie che animano un teatro panoramico di 6mila metri quadrati, uno scrigno che accoglie 1132 posti a sedere. Architetti di questa meraviglia, due italiani: Giorgio Veccia Scavalli e Franco Bartoccini. Come è italiano Franco Dragone, il creatore dell’attuale show del Lido, ‘Paris Merveilles’: sontuoso, raffinato e spettacolare, contemporaneo nelle musiche fino all’irrompere in scena di un cancan indiavolato e irresistibile. Qualche numero per rendere l’idea dello sfarzo di una produzione ammirata ogni anno da 500mila spettatori:60 artisti, due milioni di strass e cento chili di piume per i costumi, che sono 600. Allo spettacolo si può assistere e basta (due show al giorno, alle 21 e alle 23, 365 giorni l’anno), ma è sempre disponibile e consigliatissima la formula diner-spectacle (inizio alle 19): ci si accomoda in sala un’ora prima, si gusta un impeccabile menù transalpino (in cucina lavorano 35 tra chef e pasticcieri) e ci si gode una bottiglia di champagne in questo gioiello di luci e di velluti. Intanto le Bluebell si preparano, la festa sta per cominciare.
E adesso le nostre traiettorie gourmet ci portano verso est, in Alsazia, dove si incontra uno scenario gastronomico sorprendente, con radici solide nella tradizione ma, in parallelo, una curiosa e intrigante propensione al nuovo, al creativo e persino al sorprendente. Nella ristorazione d’eccellenza le radici contano – in particolare per la selezione delle materie prime – ma poi è la curiosità a indicare soluzioni e ricette, percorsi vincenti e alternative. Partiamo con Strasburgo, stretta attorno alla propria magnifica cattedrale e cosmopolita per vocazione, con gli spettacolari edifici del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa a ricordarci che questa è una città dalle porte aperte, fortemente internazionale dal 1958.
La nostra sosta ci porta a incontrare il giovane chef più promettente del panorama alsaziano: Fabien Raux, 31 anni, una stella Michelin, da gennaio 2018 alla guida del 1741 (22 quai des Bateliers, tel. +33.3.88355050), dove prima aveva affiancato il mostro sacro Olivier Nasti. La sua carriera – iniziata con l’apprendistato presso i grandi nomi della cucina di Francia, Alléno compreso – accelera quando Raux inizia il suo viaggio in giro per il mondo: debutto a Marrakech e Casablanca, consacrazione in Cina, all’Hotel Jin Jiang, colosso dell’accoglienza con 650 stanze e otto ristoranti differenti, infine ritorno ancora in Marocco per guidare il Fouquet’s a Marrakech. Attraverso quelle esperienze, e con gli affettuosi suggerimenti della moglie italiana, prende forma il suo stile: internazionale ma rigoroso (lui lo definisce ‘grafico’), fantasioso ma sempre gentile, assolutamente equilibrato nelle creazioni, anche le più avventurose.
I suoi elementi/alimenti favoriti sono, in ordine sparso: la barbabietola, la selvaggina, l’indivia del nord, il coriandolo (che ha trovato in tutti i suoi viaggi, ricorda), la salsa Périgueux, il pomodoro e il riccio di mare. Se prenotate, scegliete senza indugio la sala all’ultimo piano, dove si trova la cucina aperta verso i tavoli e gli chef cucinano a un tiro di braccia. Un’ottima soluzione per pernottare a Strasburgo è lo strategico Hannong Hotel & Wine Bar (15 rue du 22 Novembre, tel. +33.3.88321622,): la struttura, di grande atmosfera, è gestita dalla medesima famiglia da quattro generazioni. Molti dei complementi d’arredo, e la monumentale scala in legno, richiamano l’originale atmosfera anni Trenta; il wine bar, con la sua boiserie, propone etichette prestigiose in uno spazio caloroso e fuori dal tempo.
Lasciata Strasburgo alla volta di Colmar, è d’obbligo una sosta a Gertwiller, l’indiscussa capitale del pain d’épices, tradizionale dolce alsaziano al quale le spezie fanno parlare la lingua del mondo. Bene, avete sempre amato le fiabe? Volete immergervi in una casa che sembra concepita dai fratelli Grimm? Amate così tanto il Natale che lo vorreste tutto l’anno? Allora, il posto giusto per voi è Lips, maison al 110 di rue Principale (tel. +33.3.88089352).
Gli spazi da visitare sono due: il negozio, dove acquistare il prezioso prodotto in tutte le possibili varianti e dove i prezzi vi sorprenderanno per ragionevolezza (si può ordinare anche tutto online), e l’incredibile museo dedicato al Natale alsaziano, con centinaia di oggetti colorati e nostalgici, esposti in ordine meticoloso e tirati a lucido come dalla mano dei folletti. Su tutto governa Michel Habsiger, il patriarca che non cambierebbe per nulla al mondo le sue vecchie macchine del laboratorio («oggi non le fanno più cosi», sentenzia) e che non deroga sul tempo di riposo della pasta madre, da tre a sei mesi. Medesima intransigenza sulle ricette, vanno bene solo quelle di famiglia, naturalmente segretissime. Colmar è la Venezia d’Alsazia: case a graticcio si specchiano nei canali, il riflesso dell’acqua e le tinte delle facciate creano giochi di colori, agguati fiabeschi alla vostra fantasia.
L’Hotel Colombier (7 rue Turenne, tel. +33.3.89239600), ricavato in una storica magione medioevale, è vicino a tutto, base ideale per ogni itinerario. Due le tappe da non mancare: il Domaine Martin Jund (12 rue de l’Ange, tel. +33.3.89415872), dove si vinifica tutta la gamma dei vini alsaziani in pieno centro storico, e l’Atelier de Yann, la meravigliosa pasticceria di Yann Navarro (11 place de la Cathédrale, tel. +33.3.89200100), proprio di fronte al monumento simbolo di Colmar.
Ma l’appuntamento da non perdere è quello con Jean- Yves Schillinger: chef bistellato Michelin nel suo JY’S (17 rue de la Poissonnerie, tel. +33.3.89215360), ristorante collocato in una bella casa del 1750, proprio nel cuore della Piccola Venezia. Lo chef, rientrato nella sua Colmar dopo sette anni di felice esperienza newyorkese, concepisce una cucina di viaggio interpretando prodotti del territorio, ma non solo: nelle sue ricette trovano posto ingredienti orientali, pesce degli oceani, spezie dosate da vero alchimista. Il risultato è lui stesso a definirlo ‘fusion’, termine che nei suoi piatti assume l’accezione migliore: cultura, curiosità, massimo equilibrio. E così gustiamo creazioni che meritano tutte un ricordo indelebile: foie gras fresco con rabarbaro; anguilla affumicata con coulis di prezzemolo, rafano e sfera di patate; salmone di Gravlax con tortellini di capra freschi, barbabietola rossa con vinaigrette, gel al dragoncello e crumble di noci; pollo alsaziano farcito con erbe fresche sotto la pelle, coscia marinata alla thailandese con succhi e verdure di stagione. Ma Jean-Yves Schillinger è anche passato alla recente cronaca per un’iniziativa, il 12 novembre 2018: in quell’occasione, lo chef ha cucinato nel penitenziario di Colmar un menù gourmet per 140 persone, tra detenuti e guardie carcerarie. Nessuno chef stellato si era mai proposto in questa veste. Coraggio e generosità che gli hanno portato universali riconoscimenti, ma anche, purtroppo, alcune malevole critiche sui social.
Ultima tappa del nostro viaggio è Riquewihr, il villaggio delle cicogne e dei tetti aguzzi, quinte fiabesche di case a graticcio, viuzze che serpeggiano lungo le antiche mura, un presepe di luci che si accende la sera, quando buona parte dei turisti riprende la via di casa.
Ed è in questo contesto che lo chef Jean-Luc Brendel propone il suo mondo, che non è solo costituito dallo storico La Table du Gourmet (5 rue 1ère Armée, tel. +33.3.89490909), una stella Michelin, ma anche da La Brendelstub (48 rue du Général de Gaulle, tel. +33.3.89865454), dedicata ai sapori del territorio, e da tre spazi destinati all’accoglienza: B Espace Suites e B Vintage, appartamenti nel cuore del villaggio, oltre all’esclusivo B Cottage, immerso nella campagna circostante (tel. +33.3.89865455, mentre il sito del ‘mondo Brendel’ è sempre lo stesso). Ma chi è Jean-Luc Brendel? In estrema sintesi, si potrebbe definire un artista innamorato della propria terra: figlio di ristoratori, per lui l’Alsazia non ha segreti e in Alsazia ha sempre vissuto. Oggi questo regno comprende il ristorante gourmet, dove, in una bomboniera rossa, i ‘suoi’ prodotti di prossimità accolgono ospiti senza confini: carni selezionatissime, gioielli del mare.
Nella winstub, invece, tradizione rigorosa («quella quasi scomparsa», ci racconta), con qualche fuga in avanti che incanta, come nel caso della choucroute, dove l’anatra sostituisce il maiale. Ma il suo tesoro più prezioso è il ‘jardin’ (l’orto), che poi è una vera piantagione delle meraviglie: ortaggi alsaziani, ma anche varietà rarissime, come la delicata patata Bonnotte, considerata la più prestigiosa al mondo. «Con i prodotti del giardino – ci spiega – voglio arrivare a coprire il 90% delle mie necessità. È un lavoro affascinante che ti sposa con la terra, e i miei menù sono concepiti in base a quello che coltivo e viceversa». Così definisce la sua cucina: «Ogni piatto è un libro aperto che riflette la personalità dello chef. Io penso che occorra coinvolgere tutti e cinque i sensi, il risultato finale deve essere multisensoriale e non solamente gustativo». Esperienze immersive complete, anche nel vivere il villaggio, come quelle che Brendel propone nei suoi spazi accoglienza. Noi abbiamo particolarmente amato il B Vintage: appartamento mozzafiato su tre livelli, ispirato agli anni Cinquanta, dove ogni singolo oggetto è ricercato con la sensibilità dell’antiquario. Nell’anno di Leonardo, viaggiare in Francia lungo le rotte del gusto connette la storia col futuro, perché i sapori non amano i confini, narrano storie sempre diverse e creano incontri. Quasi sempre i migliori.
(Foto di GUIDO BAROSIO e MARCO CARULLI)