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Dolomiti

Senza confini

di Guido Barosio

Speciale 2021

DA AURONZO E MISURINA PER SALIRE VERSO LE TRE CIME, UNIVERSALE SIMBOLO DELLA BELLEZZA ALPINA. SIAMO NELLE MONTAGNE DI VENEZIA, AL COSPETTO DI VETTE SFIDANTI CONTESE NEI SECOLI, DOVE LO SGUARDO CERCA L’ASSOLUTO E LA MENTE RIPERCORRE VICENDE SENZA TEMPO, TRA DINOSAURI, ALPINISTI E LEGGENDE ANTICHISSIME

La montagna per accoglierti impone il confronto, come il mare, come le grandi foreste pluviali, come i ghiacci del nord estremo. Di fronte a questi scenari la civiltà si arresta o, quanto meno, viene a compromessi. Sono i residui avamposti della natura sovrana, dove l’ultima parola non spetta all’uomo, che non può sbagliare le proprie mosse, pena il fallimento e qualche volta la vita stessa. In più, la montagna ha una dimensione verticale attrattiva e imponente, metafisica e spirituale: una grande bellezza che si manifesta al primo sguardo, tra meraviglia e paura.

Dolomiti, il paradiso degli escursionisti alpini © Nicola Bombassei

Nell’almanacco mondiale dei monti le Dolomiti – avamposto alpino senza confini e forse con troppe frontiere, sparso tra cinque province, tre regioni e due nazioni – meritano un capitolo a sé, come il Cervino e l’Himalaya. Perché il disegno che si staglia contro il cielo è una linea che si spezza in continuazione, per poi salire aguzza disegnando vette acuminate e creste, cime che appaiono create per proteggere regni fantastici, cime che sembrano concepite da artisti romantici o lisergici, mentre è stata la geologia a crearli dando loro modo di esprimersi. I primi viaggiatori inglesi le descrissero come «absidi di enormi cattedrali» o «muri di abbazie in rovina», visto che non si può fare a meno di confrontarle con qualcos’altro, tanta è l’inadeguatezza di una semplice descrizione oggettiva.

Le pareti nord delle Tre Cime in un tramonto di fine estate © Nicola Bombassei

Di fronte a fenomeni naturali di particolare rilievo, o di insondabile mistero, le fiabe e le leggende forniscono una spiegazione eziologica: raccontando per metafore ciò che scientificamente non è così manifesto o di semplice rivelazione. E le Dolomiti si sono rivelate terreno fertile sia per le fiabe – legate a miti ancestrali, per secoli tramandate oralmente – che per le leggende, dove l’antefatto è, almeno in parte, reale, ma poi viene elaborato, sovente per giustificare accadimenti storici. La fiaba più suggestiva è quella legata all’attribuzione del nome “Monti Pallidi”. E narra di un principe che condusse la sua sposa, la principessa della Luna, tra le sue vette rendendola infelice. Motivo, la paura del buio e del colore scuro delle rocce. Per rasserenare la principessa il giovane si rivolse al re dei nani, che fece tessere una tela coi fili della Luna, tanto grande da ricoprire tutte le Dolomiti, che presero il nome di Monti Pallidi. Ben più triste la fiaba legata al lago di Misurina.

Il lago di Misurina © Nicola Bombassei

Protagonista una fanciulla capricciosa, appunto Misurina, e suo padre, il re Sorapiss. La bambina chiese in dono al genitore uno specchio magico che le avrebbe permesso di conoscere i desideri di tutti. Re Sorapiss lo ottenne da una fata a una condizione, che lui si sarebbe trasformato in monte per farle ombra. Misurina fu chiamata a scegliere e preferì lo specchio alla vita del padre. Ma quando l’incantesimo avvenne, si disperò di fronte al genitore, divenuto monte, e pianse sino a sciogliersi in un lago, che da allora porta il suo nome, esattamente come la vetta che si affaccia di fronte fu per sempre Sorapiss. L’ultima versione della fiaba, firmata Claudio Baglioni, comparve nell’album Sabato pomeriggio del 1975. In molte di queste vicende ancestrali si riflette il carattere drammatico delle vette, la dura competizione tra l’uomo e la natura, il fascino di racconti in bilico tra la vita e la morte. Manca quindi sovente il lieto fine, sostituito da un monito e dalla sentenza. Ricchissimo è invece il pantheon delle figure che arricchiscono la narrazione: le acquatiche anguane, strette parenti delle ninfe, i nani, trasportati in zona dalla mitologia germanica, i salvans, selvaggi ricoperti di peli affini allo yeti. Lungo il cammino della storia, issata sui piedi della fiaba e arricchita dalla prima visione di luoghi considerati ‘nuovi’, la narrazione dell’uomo diventa conoscenza, patrimonio da trasmettere attraverso racconti scritti, libri, disegni, e poi i primi reportage, le prime guide.

Le punte e le corna affilate delle Dolomiti che stupirono, per primi, i viaggiatori inglesi © Nicola Bombassei

Così un luogo entra nel patrimonio universale, meta per altri viaggi, oggetto di altre narrazioni. Mito contemporaneo da segnalare nella mappa del mondo. E le Dolomiti, come le piramidi e la Patagonia, assumono un valore condiviso solo attraverso le parole dei primi stupefatti visitatori. In estrema sintesi si può dire che iniziano a esistere. I Monti Pallidi, crocevia geografico al centro d’Europa, quindi più facilmente raggiungibili rispetto ad altri contesti naturalistici, ce li hanno fatti amare, a ondate successive, firme di valore, alcune notissime: i primi scrittori di viaggio inglesi, che risalivano le valli del Cadore, terra natale di Tiziano, e poi Kipling, Conan Doyle, Carducci, Montale, Buzzati, D’Annunzio, Hemingway, Moravia, Arbasino, Kafka, Jung, Mann, Luzi, Schnitzler, Comisso, Vassalli, Montanelli e tanti altri.

Per gli appassionati di alpinismo le Dolomiti offrono panorami mozzafiato, a picco sulle rocce © Moreno Geremetta

Alcuni scalarono, altri camminarono, altri ancora semplicemente osservarono, ci furono brevi apparizioni o lunghi soggiorni, vennero composte cronache, racconti, romanzi, poemi, una mappa di parole collettiva ben distribuita ai piedi delle vette. Così oggi le Dolomiti ci parlano attraverso i 250 milioni di anni della loro geologia – tanti ne sono stati necessari per comporre il capolavoro – ma anche grazie alla sensibilità dei molti che non hanno saputo sottrarsi al loro fascino mistico e siderale.

© Moreno Geremetta

Iniziamo una breve rassegna con le parole di un gio- vane scrittore/alpinista che ci ha lasciato troppo presto. Nel suo bel libro postumo Dolomiti cuore d’Europa, Giovanni Cenacchi presenta così queste montagne ad un immaginario viaggiatore statunitense: «Il centro del nostro continente è un isola, caro J., ma non un’isola nel mare. Si tratta di un’isola di montagne che noi chiamiamo Alpi, solcata per ogni versante da valli profonde lungo cui scende quasi tutta la nostra acqua. Sulle pendici delle Alpi e fin nel profondo delle valli più alte abita una quantità di popolazioni che parlano molte diverse lingue d’origine latina, germanica, slava… C’è un gruppo di montagne che devi raggiungere per cominciare il tuo viaggio, e queste montagne si chiamano Dolomiti… Sappi che le Dolomiti sono considerate il gruppo montuoso più bello delle Alpi. Non per le loro dimensioni – le cime più alte superano di poco i 3mila metri – ma per la fantasia sfrenata e a tratti imbarazzante di guglie e pinnacoli, di torri e di pareti verticali con cui queste vette calcaree si innalzano nel cielo. Queste montagne furono riscoperte dagli scienziati del Settecento, rese celebri dai viaggiatori romantici dell’Ottocento e visitate palmo a palmo dai turisti del nostro secolo. Le pareti delle Dolomiti sono inoltre considerate tutte pagine del più grande libro di storia dell’alpinismo, e le loro valli hanno ospitato gli uomini più illustri e le menti migliori del nostro tempo. Grandi menti, grandi sinfonie e gradi guerre hanno avuto come teatro queste montagne che nessuno in Europa esiterebbe a indicarti come una tappa indispensabile per un viaggio nel nostro continente».

Bepi Monti con l’alpinista Manolo

Uno dei primi viaggiatori, John Murray, si offerse alla sorpresa nel 1832: «Le Dolomiti sono diverse dalle altre montagne e non possono essere viste da nessun’altra parte tra le Alpi. Attirano l’attenzione per la singolarità e la bizzarria delle loro forme, con le loro punte o corna affilate, che a volte si innalzano in pinnacoli e obelischi, e altre si estendono in creste dentellate, dentate come la mascella di un alligatore; ora chiudono la valle con pareti a precipizio alte diverse migliaia di metri, e spesso sono spaccate da numerose fessure, tutte che corrono verticalmente. Sono perfettamente aride, prive di vegetazione di qualsiasi tipo e di solito di un colore giallo o biancastro. Le Dolomiti formano un sorprendente contrasto con tutte le altre montagne nel loro abbagliante candore, nella loro sterilità».

Ancora in tarda primavera le Dolomiti offrono una prospettiva glaciale

Il contrasto tra il verde lussureggiante della valle e l’abbagliante tinta della roccia si coglie nelle parole di Dino Buzzati, stregato dal Cadore, la porta delle Dolomiti: «… la natura improvvisamente cambia, con scenari di prati, abeti e larici: Cadore! Allora, nel giro di pochi chilometri, le Dolomiti esplodono veramente tutto intorno biancheggiando sopra i dossi verdi e, se risplende il sole, vi appaiono come una immagine di felicità piena e solenne».

Uno scenario di verde compatto che fece la fortuna della Repubblica di Venezia, la Serenissima dominò i mari attingendo alle foreste di queste valli, che inesauribili permisero di realizzare navi e ancora navi. Ma sono comunque sempre le vette, i faraglioni, i pinnacoli a destare le emozioni maggiori. Per il poeta Mario Luzi richiamano le nuvole: «Montagne?… non sa se luce o marmo… si fanno e si riformano, crollano l’una sull’altra quelle rocce d’aria, quelle torri di trasparenza».

Auronzo vista dal sentiero panoramico

Giovanni Comisso collega la storia antichissima alla luce cangiante: «Qualcuno disse che queste montagne altro non siano che formazioni coralline: immensi atolli, abbandonati dalle acque del mare, scardinati dai ghiacciai, corrosi e sgretolati, dalla pioggia e dai fulmini. A toccare queste rocce, rosee e gialline, rimane sulle dita come una polvere, salsedinosa, e vi si trovano incastrate soventi immortali conchiglie. Generate dal verme del corallo o dal fuoco e dal gelo, o dal diluvio, sono supremi modelli d’armonia, eccitanti l’invidia dell’uomo creatore, stimolanti lo spirito a uniformarsi al loro equilibrio. Variano ad ogni variare delle ore, hanno la stessa mutabilità del mare. Il vento, le nubi, il giorno, la notte, il sole e la luna le rispalmano ad ogni istante. A volte tra cumuli di nubi grigie la luce scende perpendicolare e rasente illuminando le pareti di barlumi freddi come nell’interno di una cattedrale; contro la prima luce dell’alba appaiono nere, informi, e immiserite, ma poi il sole arriva a definirle precise ad ogni contorno, accendendo nell’azzurro nettissimo il rosso aragosta delle spaccature profonde. Nel pieno meriggio con calde nubi immobili le cime si inombrano tra squarci di sole».

Chiude ancora Buzzati: «Per chi guarda dal fondo delle valli che colore risulta? È bianco? Giallo? Grigio? Madreperla? È color cenere? È riflesso d’argento? È il pallore dei morti? È l’incarnato delle rose? Sono pietre o sono nuvole? Sono vere oppure è un sogno?». Lo sgomento e lo stupore, il languore estetico e la meraviglia intrecciati accompagnano generazioni di autori, sicuramente mai così tanti, e così autorevoli, per un contesto montano. Nella storia degli uomini, però, le Dolomiti sono sempre state terra contesa, sipario di roccia a dividere il mondo germanico e asburgico da quello latino, prima veneziano poi italiano. Oggi, dopo secoli di conflitti e contrapposizioni, si tenta un ricongiungimento ideale, che non può che passare dall’alpinismo, disciplina sportiva anomala perché sintetizza un articolato sistema di valori: agonismo e competizione certo, ma anche fratellanza, amore risoluto per la natura, spiritualità, silenzi, sforzi e pericoli, e ancora coraggio, determinazione, acrobazia, azzardo, consapevolezza e rigorosa valutazione delle proprie forze.

Il rifugio Carducci

Il progetto Dolomiti senza confini – ideato da Bepi Monti, alpinista e appassionato studioso della montagna, gestore del Rifugio Carducci – unisce 12 vie ferrate (quegli itinerari dove gli scalatori possono avvalersi di appigli metallici inseriti nella roccia) che, raggiungendo rifugi dell’Alta Pusteria, del Comelico e dell’Austria, offrono la possibilità di affrontare le Dolomiti godendo di panorami ineguagliabili. Sono le stesse montagne sulle quali la gioventù di Austria, Italia e Germania fu costretta a combattere durante la prima guerra mondiale. Reinhold Messner ha benedetto fin dal debutto l’iniziativa: «Questi sentieri che oggi portano tante persone “dentro” le montagne sono simboli della pace: il valore più grande del- l’Europa unita. Che i neo-nazionalismi nati in vari Paesi rischiano di compromettere. Invece per stare insieme serve saper provare empatia per tutti gli altri. Come avviene quando, affaticati ma felici, ci incontriamo in montagna».

Bepi Monti ad Auronzo

Bepi Monti ci presenta gli ideali che hanno dato vita a Dolomiti senza confini: «Le ferrate, nate durante la Grande Guerra, erano state costruite dagli Alpini italiani e dai Kaiserjager austriaci. Da quelle vicende, così drammatiche per il nostro territorio, il sogno prese corpo: un percorso di pace nei luoghi del conflitto. Quando nel 2009 le Dolomiti diventarono  Patrimonio  dell’Umanità  UNESCO avevo l’impressione che, per molti operatori turistici, l’interesse fosse volto solo al ritorno economico. Ritenevo, invece, che potesse essere soprattutto un’opportunità culturale e sociale. Il messaggio forte delle Dolomiti UNESCO era, ed è, viverle non più come barriere ma come luoghi di incontro. Ponti che uniscono popoli di lingue, culture e tradizioni diverse».

Misurina, la foresta si specchia nel lago durante il disgelo

Emozionante che questo progetto nasca nei luoghi di uno dei più sanguinosi e inconcepibili conflitti della storia. Dall’inizio della guerra, e per due anni, gli eserciti si affrontarono in altura, a volte sfidando i 3mila metri di altitudine, in un gioco di posizioni sostanzialmente inutile e improduttivo, tra cannonate, battaglie e confronti all’arma bianca. «Deve essere come prendere d’assalto il cielo», scrisse Herbert G. Wells. Le vittime furono complessivamente oltre 14mila, molte delle quali per le condizioni imposte dall’alta quota: freddo, valanghe, malattie. Le parole di Giovanni Cenacchi evocano il contesto di quell’esperienza umana sconvolgente: «Fu allora come se la montagna fosse stata colpita da una specie di magia, il sortilegio di una guerra che si era incantata. Non era più questione di vincere o perdere, tutti i contendenti erano avvinti da questa magia nera, perduti in questo incanto malefico che impediva loro di fermarsi… sul Monte Piana non c’era proprio più ragione; nessuno era più in grado di intendere e di volere a causa di questa specie di maleficio della guerra incantata, una guerra che lassù sarebbe potuta proseguire in eterno senza che nessuno se ne chiedesse ragione… come se di questo incanto malefico si fosse smarrita la formula per arrestarlo».

Il Museo della Grande Guerra di Auronzo

Quel conflitto “dove nessuno ha conquistato qualcosa di importante” lo possiamo rivivere nel Museo all’Aper- to sul Monte Piana (sono organizzate visite guidate) e nel Museo della Grande Guerra di Auronzo, allestito dall’Associazione Nazionale Alpini, ricco di oggetti e fotografie.

Nella nostra esplorazione dei Monti Pallidi c’è una base di partenza formidabile, che inizia da Auronzo e raggiunge il lago di Misurina con una strada tra i boschi, particolarmente amata dai ciclisti. In alto le Marmarole, il Gruppo del Cristallo e la mole austera del Sorapiss, più avanti la più bella vista sulle Tre Cime che si possa immaginare. Auronzo è una culla circondata dal verde e attraversata dalle acque, quelle del lago di Santa Caterina. Noi l’abbiamo esplorata in compagnia di Bepi Monti, che ci ha accompagnato sul sentiero panoramico che la domina, dove il contesto bucolico della posizione offre scorci di rasserenante bellezza. È stata anche l’occasione per comprendere l’antica struttura sociale delle Dolomiti, dove resistono nel tempo due formule tradizionali: quella del “maso”, concepita dalle popolazioni di lingua tedesca, e quella delle “regole”, italiana e ladina. La cultura del maso impone una forma ereditaria dinastica, come quella delle famiglie reali, nella quale tutti i possedimenti (casa, terra, animali) passano esclusivamente al figlio maggiore. Un sistema duro ed efficace per mantenere inalterata la proprietà. Le regole” – gestite dai regolieri – hanno invece il compito di custodire e conservare il patrimonio. A leggerle si pensa ad una modernissima forma di socialismo: «Non si tollera nessun privilegio; nessun titolo nobiliare; nessuna preferenza; tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Chi viene eletto non può rifiutare il compito affidatogli per il bene comune e allo scadere deve rendere conto del proprio operato». Ad Auronzo era particolarmente legato Carducci, che la visitò insieme a Misurina; ne resta come celebre testimonianza un passo dell’ode Cadore: «Auronzo bella al piano stendentesi lunga tra l’acqua sotto la fosca Ajarnola».

La splendida cappella di Sant’Orsola a Vigo di Cadore

Oggi la “porta delle Dolomiti”, coi suoi 3400 abitanti, ha un cuore sportivo. Posto a circa 900 metri sul livello del mare, si rivela ideale per attività sportive sia estive che invernali. Sci, fondo e ciaspole sono le più classiche attrattive nella “stagione bianca”, mentre in estate si fanno apprezzare due spettacolari circuiti: il Tre Cime Bike e il Tre Cime Trekking, con ben 200 chilometri di sentieri (www.auronzomisurina.it –  www.bike.trecimedolomiti.it www.trek.trecimedolomiti.it). Altrettanto attraente è la Pista ciclabile delle Tre Cime, 30 chilometri con fondo in terra battuta, un itinerario che permette di ammirare i gruppi dolomitici più belli, dalle Marmarole al Sorapiss, dal Cristallo ai Cadini. Il panorama dell’offerta comprende anche due ascensioni in seggiovia: quella storica del Col de Varda, che sale fino a 2106 metri rag- giungendo una delle terrazze panoramiche migliori delle Dolomiti, base ideale per numerose escursioni, e le due del Monte Agudo, tra cui una moderna ad agganciamento automatico. Nei pressi di Misurina si parte invece per una camminata di circa un’ora che permette, nella stagione estiva, di conquistare la piena prospettiva sulle Tre Cime: la Piccola (2857 metri), la Grande (2999 metri) e la Ovest (2973 metri). In estate, chi volesse optare per una soluzione più comoda può raggiungere il medesimo panorama con la strada asfaltata a pagamento.

Le Tre Cime cambiano aspetto da ogni prospettiva

Le foreste di Auronzo e del Cadore permettono di immergersi nel bosco ascoltando il profondo respiro della natura; di grande suggestione la Riserva Naturale Orientata di Somadida, un’area protetta dallo Stato di 1676 ettari, dove la Repubblica di Venezia ricavò i pennoni per le vele e gli alberi delle sue navi.

Le Dolomiti nella stagione del disgelo

Un’eccellente base di partenza per i vostri itinerari è l’Hotel La Nuova Montanina (Auronzo di Cadore, via Monti 3, tel. 0435.400005 – www.lanuovamontanina.it), gestito dalla famiglia De Filippo: Carlo, Carla, i figli Giuseppe, Michele e Alessandra, quest’ultima protagonista in cucina. Nella struttura la cordialità dell’accoglienza è un must, curate e confortevoli le stanze, godibilissimo il centro benessere con sauna, bagno turco, doccia emozionale con effetto nebbia artica, doccia cromatica e area relax. Una segnalazione di merito per il ristorante, saldamente ancorato alle tradizioni del territorio, con menu che cambiano ogni giorno.

L’Hotel La Nuova Montanina

La famiglia De Filippo

A pochi minuti di auto merita una sosta il Ristorante Cacciatori (Auronzo di Cadore, via Ligonto 26, tel. 0435.97017 – www.albergo-ristorante-cacciatori.com), dove gli chef Maurizio Doriguzzi e Orlando Peloso esplorano, con qualche gradevole tocco di modernità, una cucina auronzana fortemente basata sulla cacciagione, come lo spezzatino di cervo ai funghi misti con polenta, o il capriolo, sempre con polenta. Si apre con i salumi locali e le tagliatelle con ragù di cervo e capriolo. Animalisti ortodossi e vegani astenersi.

Spezzatino di cervo ai funghi del ristorante Cacciatori

E adesso, un posto dove andare senza indugio, per la cucina, per il contesto, per la filosofia che lo anima. È l’agriturismo Ai Lares (Auronzo di Cadore, passo Sant’Antonio, località Stabiorco, tel. 334.7970400) di Luigi Larese, fondatore, agricoltore, pastore, in estrema sintesi genius loci. Ci si arriva salendo verso il passo Sant’Antonio, e sono 16 tornanti belli tosti, circondati da una natura sempre più intatta mano a mano che si sale. L’agriturismo si trova nel sito di una ex caserma militare e propone posti sia all’aperto che al chiuso, circondati da un’aria frizzante come lo champagne.

Guido Barosio con Luigi Larese

Luigi offre esclusivamente prodotti home made, insomma questo è un agriturismo vero, senza compromessi. In più è anche fattoria didattica, per spiegare ai più piccoli, e non solo, la filosofia agroalimentare della montagna. Nella tipologia “cucina del territorio”, la loro è da applausi: i salumi (che speck!) tolgono la voglia di mangiarne altri per una settimana, gli gnocchi sono come quelli fatti dalle nonne, e poi gulash, canederli in tre versioni, i quasi introvabili casunziei (ravioli tipici delle Dolomiti), uno strudel da portarselo a casa, una crema pasticcera coi mirtilli che, da sola, varrebbe una stella. Al ritorno si procede molto lentamente, anche perché non vorresti andartene via.

Ai Lares, tagliere di salumi

Altra ascensione che va messa in agenda è quella che vi porterà alla Malga Maraia. Immaginatevi di salire nel verde col sistema che vi è più congeniale: in auto (andando piano piano sul sentiero sterrato), in bici, oppure a piedi, e, nel caso, avete ben sei opzioni. All’arrivo le Dolomiti si spalancano di fronte ai vostri occhi come su un palcoscenico monumentale, dominate dalle Marmarole. A questo punto, colti da incanto, potreste anche non muovervi più, pietrificati a vostra volta. Invece Malga Maraia, volendo, costituisce la base di partenza per altre escursioni, oppure è approdo gourmet per sapori montanari proposti con rispetto della tradizione e un pizzico di audacia.

Malga Maraia incorniciata dalle Dolomiti

Il restauro della Malga (ne esiste a valle una gemella, Malga Popena) – originariamente edificio dedicato al pascolo alpino – è veramente sorprendente, per quanto ha saputo intrecciare elementi tradizionali con tocchi di design originale e contemporaneo, che arricchiscono senza mai trasgredire. Merito delle scelte di Federico Barnabò, il direttore, che ha concepito questo gioiello circondato dalle vette.

Federico Barnabò

E adesso un piccolo sconfinamento verso le Dolomiti settentrionali per visitare a San Candido – dopo una sosta al lago di Braies, quello di Un passo dal cielo – il suggestivo spazio dedicato alla funambolica storia, anche antichissima, di queste montagne. Meta dell’escursione il DoloMythos, raccontato dal suo fondatore, Michael Wachtler.

Con Michael Wachtler

Questo non è un museo come tutti gli altri: narra, in un’atmosfera fia- besca, l’epopea geologica e naturalistica dei Monti Pallidi, iniziata 250 milioni di anni fa, quando al posto delle Dolomiti si estendeva un mare tropicale con la sua barriera corallina. A seguire l’epoca dei dinosauri, con tutte le scoperte di rilievo di Wachtler stesso. Ma un posto di rilevo hanno anche miti e leggende di questa terra antichissima. L’allestimento è suggestivo, accattivante, didattico senza essere noioso, divulgativo senza mai trascurare il rigore scientifico. La scienza diventa avventura, emozione, ricerca.

Nel corso della sua attività Michael ha scoperto e catalogato 70 specie differenti, portato alla luce gli antenati dei pini, rilevato le impronte dei primi dinosauri nelle Dolomiti di Braies, datate 240 milioni di anni, ma la scoperta che lo ha consegnato alla storia è quella del Megachirella Wachtleri, il precursore degli squamati, che oggi contano 10mila specie nel pianeta. Wachtler, scienziato indipendente e poco incline ai compromessi, con il tempo, e coi successi, è diventato un personaggio scomodo. Contro di lui le autorità si sono accanite attraverso sequestri (oltre 5mila reperti) e pene detentive, la stessa sopravvivenza del DoloMythos, museo amatissimo, è considerata in pericolo.

L’allestimento esterno del DoloMythos

Per nulla intimorito, Michael continua le sue battaglie, alle quali si è aggiunto l’impegno per la difesa del patrimonio naturale dolomitico: «Non piaccio perché non mi piego alle regole di un mondo scientifico e museale che non condivido. La mia è una ricerca pura, totalmente indipendente, che non si avvale di finanziamenti e contributi. Le mie attività si sostengono con il mio lavoro proprio per essere libere – ci spiega Wachtler – La natura ha bisogno di essere raccontata in modo accattivante e coinvolgente, come facciamo a DoloMythos. Attraverso prezzi popolari e iniziative per chi non può permettersi il biglietto: durante le feste natalizie, ad esempio, l’ingresso è gratuito per tutti. Sono scomodo e mi fanno la guerra, ma non importa. Io vivo sereno e continuo per la mia strada. La scienza, la natura e la ricerca mi danno tutta l’energia che mi serve». Un po’ Indiana Jones e un po’ Robin Hood, Michael ha esposto in bella mostra 250 milioni di anni di storia. Un paladino tra i Monti Pallidi.

Villa WachtlerTornando verso Auronzo ci fermiamo ancora di fronte alle Tre Cime salutandole con le parole che Antonio Berti scrisse nel 1928: «Siamo nell’empireo delle Dolomiti, sono tre blocchi rocciosi, meravigliosamente regolari, che, da qualunque lato si guardino, sfidano nella loro bellezza qualsiasi confronto. Lo sguardo si inchioda, scosso da stupore, sulla fantastica trinità, sulla divinità dolomitica suprema. Sono là, enigmatiche come sfingi».

 


Cosa vedere:


 


Dove mangiare:


 


Dove dormire:


 

 

(Foto di MARCO CARULLI)