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Un romantico viaggio inglese

Dalla costa occidentale fino a Londra

di Guido Barosio

Inverno 2021

DALLA COSTA OCCIDENTALE FINO A LONDRA, PER UN SOGGIORNO BRITANNICO LANGUIDO E SOGNANTE. IL PORTO DI BRISTOL RINATO NEI SUOI DOCKS, LA MAESTOSITÀ DI STONEHENGE, LE RAFFINATE SCENOGRAFIE DI SALISBURY E BATH. A LONDRA PANORAMI MOZZAFIATO DALLO SHARD, LA REGALITÀ DI WINSOR E HAMPTON COURT, I MUSICAL CHE VALGONO IL VIAGGIO

Una regina senza età coi Dr. Martens ai piedi, nazionalista fino al midollo, sguardo fisso al futuro ma radici profondissime e inestirpabili: che tu sia un addicted o ci metta piede per la prima volta, non potrai fare a meno di constatare che non c’è nulla come l’Inghilterra. L’Oxford Languages definisce così l’aggettivo romantico: «Caratterizzato da tendenze o aspetti riconducibili ad un mondo sentimentale, appassionato, languido o sognante».

Ecco, il nostro viaggio nella terra di Elisabetta II prende proprio spunto da questo mood, che si accorda perfettamente alle traiettorie del nostro viaggio, che inizia dal porto di Bristol per tagliare trasversalmente il sud del Regno Unito: Salisbury, che sembra appena uscita da un libro di fairy tales; Stonehenge, il sito delle pietre sospese, eretto 4500 anni orsono; l’elegante Bath, con le sue terme allestite dai Romani; per chiudere Londra, ma quella delle passioni, dei musical che fanno battere il cuore del mondo e dei palazzi reali di Windsor e Hampton Court.

Bristol

Ed eccoci a Bristol, quasi mezzo milione di abitanti, città in evoluzione con una storia marittima autorevole: posta a pochi chilometri dalla foce del fiume Avon, ospita un’area portuale già attiva nel Medioevo e poi base di partenza per i transatlantici che solcavano gli oceani, verso l’oriente, l’Australia e New York. Oggi quella zona – l’Harbourside – è l’epicentro della trasformazione urbana, dove i grandi docks hanno ripreso vita e vitalità ospitando abitazioni e ristoranti, gallerie d’arte e musei, con un fremito culturale e architettonico ancora in evoluzione. Tutto all’insegna della sostenibilità e della green economy, oggi assi trainanti della municipalità.

Bristol l’albero di metallo ad Harbourside

Geometrie contemporanee nel centro di Bristol

La storia di Bristol e dei suoi artisti – Banksy è nato qui e le sue opere si affacciano, sempre sorprendenti, a impreziosire con segno incisivo facciate più o meno nobili, ma certamente nobilitate da un segno inconfondibile – si può approfondire nel museo M Shed. Ospitato in un docks degli anni Cinquanta, prende per mano il visitatore raccontandogli le trasformazioni urbane, e i suoi protagonisti, dalla tratta degli schiavi ai giorni nostri.

La ragazza con l’orecchino di perla di Banksy

Case vittoriane nell’alba di Bristol

Il gioiello dell’Harbourside è la SS Great Britain, prima nave oceanica in ferro della sua epoca, concepita dal genio versatile e innovativo di Isambard Kingdom Brunel (ingegnere che creò opere memorabili, non solo navi, ma ponti, gallerie, ferrovie…), per tutti semplicemente “Brunel”, come un marchio di fabbrica. Varato nel 1843, questo titano galleggiante introdusse una serie di innovazioni a livello meccanico e strutturale che cambiarono per sempre il mondo dell’ingegneria navale. Recuperata e restaurata negli anni Settanta, la Great Britain è tutt’altro che un semplice museo, perché i suoi interni sono stati ricostruiti con cura minuziosa – cabine, sala macchine, salone delle feste, infermeria, alloggi degli ufficiali, cucine… – e riarredati come in uno scenario teatrale.

Bristol: la SS Great Britain

Tra suoni e voci che sembrano provenire dall’aldilà, ci osservano manichini vestiti di tutto punto, immobili, come folgorati da una macchina del tempo. Si procede complici e si esplora immaginandosi passeggeri pronti ad affrontare viaggi di mesi, verso le più remote destinazioni: India, Australia, Americhe. Di fronte all’Harbourside si aprono gli spazi del Wapping Wharf, dove gli antichi edifici portuali sono diventati locali di tendenza, di taglio globale e multietnico, aperti fino a tarda notte. Il cuore della movida di Bristol. Di giorno, invece, l’area più vivace della città è quella del St Nicholas Market: attività di brocante, negozi di design, punti moda dai colori sgargianti e tanto, tantissimo street food. È qui che si osserva come la trasformazione dei costumi alimentari dei britannici sia forte. Dominano i gusti mediorientali, con tanti mezze mediterranei (libanesi, siriani, marocchini, egiziani, inevitabilmente fusion…), sapori indiani, sushi, e le formule veg, maggioritarie, fino a qualche anno fa impensabili da queste parti. Il rito del fish & chips o degli hamburger è confinato nei pub, dove, tra pinte di birra old style, resiste la tradizione ancora vigorosa, soprattutto quando scende la sera.

Bristol, St Nicholas Market

Bristol giochi d’acqua ad Harbourside

Per uno shopping di taglio internazionale, con tutte le grandi griffe schierate in parata, vale una visita il Cabot Circus: architettonicamente sorprendente, sormontato da un ampio soffitto curvo in vetro, è articolato su diversi piani asimmetrici, tutti collegati da ascensori che movimentano l’insieme. La cultura contemporanea di Bristol non è unicamente Banksy, perché dietro di lui numerosi giovani writer hanno sviluppato uno stile personale che ormai è tra i segni distintivi della città. Altrettanto attraente la scena musicale, sulle rive dell’Avon è nato il trip hop e si sono affermati reggae, dubstep e drum and bass. Nativi di Bristol sono Massive Attack, Portishead e Tricky, per un panorama urbano di assoluta eccellenza riconosciuto a livello internazionale.

Bristol Brooks Guesthouse

Le radici del nuovo in UK sono qua, dove la costa inglese si affaccia verso il Galles, dove le radici del futuro erano già robuste e vigorose ai tempi di Kingdom Brunel. In un viaggio romantico le sistemazioni per le notti vanno sempre individuate con particolare attenzione. Quella testata a Bristol è in assoluto tra le più originali: sul tetto della Brooks Guesthouse (www.brooksguesthousebristol.com), a due passi dal trafficatissimo mercato di St Nicholas, si trova un piccolo villaggio di roulotte anni Cinquanta, portate lì chissà come dai proprietari. Sono le rooftop caravan, scintillanti di metallo argentato e arredate come una piccola, confortevole camera d’hotel. Spazi ridotti ma ogni comfort, e in più il panorama sui tetti della città. Da prenotare con adeguato anticipo.

L’alba sulla baia di Bristol

Salisbury

Dalla stazione di Bristol – splendida, sembra un’ala del castello di Harry Potter – si arriva a Salisbury in poco più di un’ora. Salisbury che è bellissima, ma proprio bellissima in ogni casa, in ogni negozio, in ogni scorcio del centro storico col suo impianto intatto di abitazioni medioevali, molte delle quali a graticcio.

Giustamente inserita nel Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, la città ha origini antichissime e misteriose, con una storia che prese inizio nel 3000 avanti Cristo sulla collina di Old Sarum, che ospitò insediamenti celtici, romani, anglosassoni e normanni. A partire dal 1258 il simbolo di Salisbury è la magnifica cattedrale gotica, ispiratrice di Ken Follett per I pilastri della terra. Consacrata alla Beata Vergine Maria, con la sua guglia di 123 metri (la più alta del Regno Unito) ospita il più antico orologio del mondo (datato 1386) e una delle quattro copie originali della Magna Carta. L’interno, di bellezza magnetica, garantisce un effetto di ascensione vertiginoso.

La cattedrale della Beata Vergine Maria di Salisbury

Quando il tramonto illumina la facciata – un ricamo di pietra con 130 nicchie – le tinte tendono al rosso e ci si
accomoda nel prato antistante, senza provare alcun desiderio di essere da un’altra parte. La romantica Salisbury alla sera si rivela risolutamente fiabesca, mentre si passeggia per le vie silenziose alla ricerca del pub
preferito. Ma noi consigliamo qualcosa di differente: il più bel ristorante messicano d’Inghilterra. Si chiama Tinga (www.tingasalisbury.com) ed è un giardino urbano di colori sgargianti, di murales e di piccole installazioni, di quadri originali ben lontani da qualsiasi esotismo di maniera. Idealmente consacrato a Frida Kahlo e al pantheon delle divinità mesoamericane, propone una cucina fragrante e profumata, con tacos, burritos e quesadillas che invitano a esplorare ricette classiche ma interpretate con risultati vincenti (e sorprendenti) a ogni portata.

Tinga a Salisbury, murales e alta cucina

I sapori messicani di Tinga

Aperto da soli due anni, Tinga rallegra anche per i prezzi proposti: la sera raramente si superano le 25 sterline
(bevande comprese), che diventano 15 per il pranzo. Sì, avete proprio letto bene. Una porta che spalanca sul
tempo è quella che permette di entrare nel Red Lion (www.the-redlion.co.uk), quattro stelle, 800 anni di storia,
tra i più antichi hotel del mondo. La corte con il grande pergolato, che si infiamma nei mesi autunnali di sfumature che vanno dal giallo al rosso acceso, conduce al fabbricato principale, con pub, ristorante e lunghi corridoi dove le stanze, se potessero parlare, chissà cosa racconterebbero. Se ci capitate per le feste natalizie informatevi sulle formule Christmas Party, una tradizione consolidata nei grandi alberghi britannici.

La corte del Red Lion a Salisbury

Stonehenge

I 13 chilometri che separano Salisbury da Stonehenge sono la testimonianza di quanto Dio abbia amato gli inglesi: prati smeraldo, colline dolcissime, boschi che completano la scenografia, luci e nuvole che cambiano
rapidamente l’insieme. L’impressione è che la natura si sia lasciata dipingere da un paesaggista del XVIII o del
XIX secolo. L’uomo è annunciato dai campi, dalla presenza di mucche e pecore sparpagliate come coriandoli. E poi casette tutte col giardino, villaggi così accoglienti che sono un invito alla quiete. Esiste solo il bello, nelle sue più diverse declinazioni. È il countryside che ci introduce al cerchio di pietre. Non potrebbe essere altrimenti, perché i nostri occhi – e più ancora il nostro spirito – si confrontano con un luogo che non ha eguali: il più celebre monumento preistorico del mondo, ma anche il più imponente, il più misterioso, enigmatico Patrimonio dell’Umanità per l’UNESCO, la Manhattan del Neolitico. Tecnicamente il sito è un cerchio di pietre, alcune delle quale ne sorreggono altre, poste come architravi orizzontali.

I leggendari allineamenti di Stonehenge

Cosa sappiano di Stonehenge? In realtà molto poco, perché venne edificato da una civiltà che non lasciò
tracce scritte e perché le indagini sulle rocce sono roba da geologi più che da storici. Quindi ci confrontiamo con molte più domande che risposte. Anche le ipotesi sulle tecniche costruttive brancolano nel buio, come muovere tonnellate di pietre (e disporle ad arte) senza l’uso della ruota? E poi, perché? Per edificare un tempio? Per celebrare i defunti? Per creare un osservatorio astronomico? Come farebbero pensare gli allineamenti… Oppure, più semplicemente, per celebrare la propria gloria, la propria identità, come per i nostri monumenti. Se la storia brancola nel buio, il mito veleggia. Così in molti hanno trovato una propria narrazione per giustificare
l’enigma, mettendo in campo druidi e streghe svolazzanti, extraterrestri e sciamani, adoratori delle più diverse
religioni. Ma Stonehenge resta sempre lì, immobile e silenzioso, accarezzato dal vento e dalle luci del tramonto
che si infilano tra le sue pietre come una lama antichissima. Il tuo confronto col cerchio di pietre – se ti allontani da valutazioni e interrogativi – ti offre ben altro, ti parla con una lingua intima e sconosciuta, va a cercare corde profonde, rasserena con la sola sua presenza. È alieno, differente da ogni cosa tu abbia mai visto, ti spiega la grandezza di ciò che è inspiegabile.

Bath

L’uomo ha sempre cercato l’acqua, per vivere ma anche per prendersi cura del proprio corpo. E in Inghilterra il piacere dell’acqua lo portarono i Romani, che, da conquistatori seriali, edificarono città riproponendo ovunque
il medesimo modello, a partire dalle terme, luogo deputato non solo al benessere, ma all’incontro e al confronto, spazio sociale prediletto per una civiltà che esportò il proprio stile di vita in tutta Europa.

Il centro di Bath

Bath (il cui nome significa appunto “terme romane”) è un’elegante cittadina georgiana, celebre per le sue acque salubri e medicamentose. I conquistatori arrivarono intorno al 40 d.C. e scoprirono i benefici di quelle che battezzarono aquae sulis, ma pare ormai accertato che i primi a servirsene furono i Celti, già 2500 anni prima. L’edificio che vediamo oggi è un ibrido tra una pianta romana, ampia e sontuosa, e la ricostruzione, avvenuta nel 1755 a opera di Beau Nash, dandy e bon vivant che ne fece l’elegante ritrovo per l’aristocrazia inglese del tempo. Il percorso di visita si sviluppa intorno alla grande vasca centrale e permette di apprezzare tutti gli spazi ideati dai Romani. Invece, per usufruire delle preziose acque sulfuree, si può prenotare una sosta, e diversi trattamenti, alle Thermae Bath SPA (www.thermaebathspa.com), moderno complesso consacrato al benessere e sormontato da una spettacolare piscina aerea.

Le terme romane di Bath

La città è un elegante complesso di edifici in gran parte georgiani, candidi nelle forme ed evocativi delle atmosfere di Jane Austen, che a Bath visse e scrisse. Dove l’architettura mette in scena un fascino visionario è nei due ellittici spazi di Royal Crescent e del vicino Circus: abitazioni tutte uguali disposte a ellissi e a semicerchio, uno spazio concepito da John Wood il Vecchio e realizzato da John Wood il Giovane tra il
1754 e il 1774. L’obiettivo era quello di dare un aspetto neoclassico e palladiano alla città. Quando si ammira il
Royal Crescent dal grande prato prospiciente l’illusione è di trovarsi in una grande capitale, in assoluto superiore a Bath per storia e dimensioni.

Bath il Royal Crescent e il prospiciente prato all’inglese

Dopo una passeggiata lungo il Pulteney Bridge – ponte coperto di epoca georgiana che, con le sue botteghe, può ricordare Ponte Vecchio a Firenze – le tentazioni della gola ci portano risolutamente da Sally Lunn’s (www.sallylunns.co.uk): ristorante collocato nella più antica casa di Bath (risale al 1482, dieci anni prima della scoperta dell’America) e attivo dal 1680, quindi uno dei più longevi d’Europa.

Il Pulteney Bridge di Bath

La sua fama si deve a tal Solange Luyon, ugonotta francese espatriata per le persecuzioni religiose, ribattezzata Sally Lunn perché nessuno sapeva pronunciare il suo nome. La giovane portò sulle rive dell’Avon la tecnica del pan brioche, sconosciuta agli inglesi. Cosa ancora più importante, creò dei “panini aperti” (i Sally Lunn bun), che, tagliati in due, venivano ricoperti con ingredienti salati (manzo, maiale, anatra…), oppure dolci (panna, crema, burro). Il risultato era una sorta di piatto unico proposto a prezzi ragionevoli, oggi come allora. Le sale del ristorante sono sostanzialmente quelle del XV secolo e la ghiottoneria dei Sally Lunn bun resta inalterata, coi sapori logicamente ingentiliti per i palati contemporanei.

Veduta aerea del centro storico di Bath

Percorrendo le vie centrali, e di fronte all’abbazia, si incontrano i basker (suonatori di strada), da sempre amatissimi, che offrono piccoli concerti a cielo aperto, artisti randagi padroni delle note. A Bath suggeriamo una sistemazione nel cuore della città, lungo il centralissimo St James Parade (cercate la destinazione su www.sacoapartments.com), in un complesso di appartamenti spaziosi e funzionali. Si tratta di veri e propri alloggi di design, open space con una cucina luminosa e funzionale, ideali per la completa indipendenza e per famiglie con bambini.

Londra

E adesso, Londra! La nostra Londra che, in questo viaggio, punta sui palazzi reali, sui teatri e sulle verticali suggestioni dello Shard. Sarà che The Crown ci ha rimesso in testa una gran voglia di regalità, sarà che per gli inglesi la monarchia non ha perso nulla del proprio fascino, ma Windsor andava proprio rivisto, e rivisto come una passeggiata sul filo del tempo. In più, in occasione della nostra visita, sventolava sul pennone lo stendardo
reale, a indicare che la regina “era in residenza”.

Il Palazzo di Windsor

Ed è proprio questo uno dei motivi di fascino dei castelli inglesi: sono vivi e abitati, ci possiamo entrare ma non andando dappertutto, perché al di là di un muro, di una porta, ci sono “loro”, i legittimi proprietari da mille anni e
più. I manieri della Loira sono un sontuoso museo, i palazzi della regina sono ancora casa sua. E questo fa
tutta la differenza. Windsor è un castello neogotico e neoromanico, però le sue architetture sono essenzialmente di impronta vittoriana e georgiana, chi pose la prima pietra fu Guglielmo il Conquistatore nel 1070, ma, da allora, non hanno smesso di metterci le mani fino al 1992. Non è un castello, non è una dimora, non è un palazzo, ma tutto questo insieme. In realtà ci appare come un villaggio fatto di tanti castelli, teatrale nella disposizione, con mura, cortili e viali interni.

I palazzi reali inglesi, il fascino di dimore abitate

La maestà del Palazzo di Windsor

Non c’è un solo Windsor, ma ci sono “i Windsor”, dove vivono e lavorano 500 persone. Varcata la soglia, sono gli appartamenti di Stato a darci la dimensione di una ricchezza imperiale, le opere di Rubens e Van Dyck disposte come in una sontuosa galleria privata, perché i musei sono un’altra cosa. Se Windsor è abitato dai sovrani pluriodierni, Hampton Court è lo spazio prediletto di chi lo scelse nei secoli passati, e che ancora sembra risiedervi oggi. Fantasmi benevoli, almeno apparentemente.

Statue, giochi d’acqua e alberi scolpiti a Hampton Court

Tra tutti una presenza è veramente imprescindibile, quella di Enrico VIII, che qui visse e governò, ma che, soprattutto, legò questi luoghi alle turbolente vicende amorose che lo resero celebre. Con una sequenza di regine non esattamente fortunate. Caterina d’Aragona, prima consorte, il sovrano se ne liberò e avvenne lo scisma da Roma, che permane tuttora, con la regina a capo della chiesa anglicana. Poi Anna Bolena, francese, forse la più celebre, decapitata perché accusata di adulterio, incesto e altre cose. Dopo Jane Seymour, morta di malattia dopo aver dato alla luce l’erede. A seguire fu il turno di Anna di Clèves, che non schiodò da corte neanche dopo il divorzio e l’arrivo di Caterina Howard, che fu accusata di adulterio e venne decapitata, ormai una tradizione. L’ultima fu Caterina Parr, chissà se fece amicizia con la sua quasi omonima, più volte avvistata mentre percorreva urlante le stanze in direzione della cappella reale. Che è la cosa più bella che si possa vedere, la cappella intendo, con il suo soffitto color del cielo punteggiato da stelle e sorretto da agili decorazioni dorate.

Hampton Court volte decorate separano un cortile dall’altro

Hampton Court è organizzato attorno a due cortili quasi simmetrici. Sale e corridoi non rispondono a una logica precisa e probabilmente sono stati concepiti per sorprendere e ingannare il visitatore. Le grandi cucine di Enrico VIII, dove lavoravano 200 persone, sono una delle attrazioni più originali. Ma – tra Van Dyck, Canaletto, Mantegna e Rubens – quello che affascina maggiormente sono le opere d’arte, alcune di enormi dimensioni, che occupano lunghe gallerie, un Louvre alle porte di Londra. Contrariamente a Winsdor, a Hampton Court si vede tutto, si conquista in mezza giornata di visita solerte e, quando non ce la fate più, vi ospita nei suoi immensi giardini che sembrano non finire mai. Durante l’esplorazione incontrerete solenni figuranti che attraversano sale e corridoi. Non dicono una parola e tirano avanti. C’è chi giura siano una decina, ma voi ne conterete di più, però non farete domande.

I giardini di Hampton Court

I musical sono l’eccellenza teatrale londinese, la pandemia ha impedito le rappresentazioni per un anno e mezzo, ma oggi tutto è ripreso come prima, e forse più forte di prima. Quindi, per gli show più attesi serve organizzarsi per tempo, con la rete che offre le opportunità migliori se avete ben chiaro in mente cosa volete scegliere. Per Hamilton e Cinderella, di cui vi parlerò, spenderete minimo 60 o 80 pound, ma ne vale davvero la pena. Consiglio: i teatri londinesi propongono la platea (molto costosa) e le gallerie. Ecco, scegliete quelle, la prospettiva è ottima e il costo decisamente più abbordabile. Cinderella è il nuovo musical di Andrew Lloyd Webber, un mito, l’autore di Cats, Evita, Jesus Christ Superstar e Il fantasma dell’Opera. L’uomo che ha rivoluzionato il musical rendendolo arte del nostro tempo, rock e romantico in un battito di ciglia. Cinderella va in quella direzione, anche se parliamo di una “Bad Cinderella”, come si intitola un brano dello show. Altro che Cenerentola, lei è un personaggio femminile di “rottura”, nel falsamente perfetto villaggio di Belleville. Lo show è un vortice di coreografie, scanzonate provocazioni, temi musicali memorabili, c’è addirittura la scena che ruota su se stessa e “si mangia” la platea. Il musical è stato espressamente concepito da Webber per la voce straordinaria di Carrie Hope Fletcher, se venite a Londra presto la vedrete ancora nel cast originale.

Hamilton, invece, è il futuro, il cambio di paradigma, il nuovo che allarga i consensi verso una platea universale. L’autore è Lin-Manuel Miranda, newyorkese, già pluridecorato per In the Heights, lo show che impose la musica latina in un genere che non la prevedeva. Con Hamilton – ispirato alla vita di uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, Alexander Hamilton – va oltre, perché la partitura abbandona le sonorità tradizionali tuffandosi con decisione nel rap, nell’R&B e nel soul. I protagonisti, anche quando non cantano, nella maggior parte dei casi rappano, tenendo costantemente i ritmi altissimi, inseguendosi e duellando nei dialoghi. Più che un musical, questo è un hurricane dei Caraibi, ti coinvolge e ti travolge, ti rende impossibile stare fermo. Anche se conosci l’inglese non capisci assolutamente nulla, ma non importa, se sei previdente ti sei letto prima la trama. Che è complicatissima, a tratti persino confusa, ma quello che conta è la corsa, non l’auto dove sei seduto. In ultimo è un trionfo creolo e afroamericano, non solo per i suoni, ma anche per le scelte drammaturgiche, dato che buona parte dei protagonisti storici, bianchi, in Hamilton cambiano colore della pelle. Premiato con una valanga di Tony Awards (gli Oscar dei musical), ha anche vinto un Pulitzer per la drammaturgia e in questi giorni ha celebrato la millesima replica. Da non perdere perché ve ne pentireste.

La ruota panoramica lungo il Tamigi

Dopo Hamilton siamo andati “a sciacquare i panni in Arno” con una visita al Globe, copia accuratamente ricostruita, lungo le rive del Tamigi, di quello che fu il teatro di Shakespeare. E ci permettiamo un consiglio, quella visita guidata non fatela. Vi faranno vedere il magnifico teatro in legno, aggiungendo tante parole, inutili, e poi stop. Molto meglio prendere un biglietto per uno dei tanti spettacoli serali – proposti a circa 40 sterline, un affare – dove la compagnia di casa mette in scena le opere del genio in curiose e pirotecniche performance contemporanee.

Lo Swan at the Globe

Quello che invece non dovete perdere è un afternoon tea allo Swan at the Globe (www.swanlondon.co.uk), elegante pub giusto confinante. Si tratta di un rito gastronomico, incentrato sulla bevanda tanto amata, che prevede stuzzichini, tramezzini, pancake, scone, tutti a tema elisabettiano, con le varianti Falstaff, Sogno di una notte di mezza estate, Romeo e Giulietta… Il teatro al vostro tavolo, allestito nelle classiche alzate della tradizione. Londra si lascia sempre con una forte emozione e questa volta abbiamo scelto la sua dimensione più vertiginosa, quella scheggia piramidale e scintillante concepita da Renzo Piano e inaugurata il 1° febbraio 2013: The Shard (www.the-shard.com), che poi vorrebbe dire “il frammento”. Fino alla sua costruzione, Londra non era sostanzialmente una metropoli verticale, o almeno non lo era con un edificio iconico: la Freedom Tower di New York, la Tour Eiffel di Parigi, la torre della televisione di Berlino. Ci sono voluti i soldi, tanti, dell’emiro del Qatar, e il genio del maggiore architetto italiano, per invertire la rotta. I metri di altezza sono 309,6 e la piattaforma di osservazione all’aperto di trova al 72° piano, a quota 244 metri. Fino a lì si può salire, e magari gustare un cocktail, mentre la città si distende davanti e sotto di noi, come fossimo in aeroplano.

Londra vista dallo Shard

Soffrite di vertigini? State a casa. Vi inquieta la fragilità dell’uomo di fronte all’infinito? Anche. A noi francamente la voglia di scendere non è venuta mai, anzi il contrario. Dallo Shard la città si raccoglie tutta in un solo sguardo, quella metropoli senza un centro preciso, fatta tutta di contrasti e di distanze, dove i quartieri si sono sommati negli anni come in un puzzle, lontani, differenti, eppure sempre Londra. Coi suoi teatri, gli artisti, le gallerie, le banche onnipotenti, i ristoranti di ogni dove, Trafalgar e la grande ruota, Westminster e il Big Ben. Dallo Shard tutto entra in una sfera di vetro, come quelle con la neve. Ce l’hai finalmente in pugno, non c’è ricordo più bello.

I viaggi su misura di Valentina Bosco

Quello di Valentina Bosco è un ufficio in movimento perpetuo. Quando la cerchi – per un preventivo, un itinerario, una consulenza… – ti risponde in tempo reale, con quell’efficacia tempestiva e misurata sulle tue esigenze che i grandi tour operator neanche si sognano. Ma lo fa, quasi sempre, dai luoghi dei suoi viaggi. Perché i posti non si limita a proporli, li vive in un continuo susseguirsi di sopralluoghi e di tour accompagnati personalmente. Avete presente le prenotazioni online, le attese fastidiose per una risposta, la mancanza di dialogo che irrita e respinge? Ecco, niente di tutto questo, i viaggi di Valentina Bosco nascono attraverso il dialogo e il confronto, con le vostre esigenze che diventano itinerario, prezzo (sovente assai competitivo), data migliore per arrivo e partenza. Poi ci sono le proposte già confezionate: tour testati e provati che nella maggior parte dei casi lei accompagna mettendosi a disposizione, come quelli in Gran Bretagna e Irlanda (le sue grandi passioni) o le rotte verso l’aurora boreale, altro must, dove quest’anno ha già accompagnato tre gruppi.

Valentina Bosco

Com’è nato il tuo lavoro?

«La mia esperienza è di agenzia, dove ho imparato a misurarmi con le esigenze dei clienti. Poi ho seguito i cambiamenti del mercato: l’invadenza di Internet, con proposte anche rischiose e di fatto non garantite, il tramonto di molti tour operator che offrono formule obsolete e servizi spersonalizzati, in ultimo le conseguenze della pandemia, che richiedono informazioni tempestive e adeguamenti da un giorno all’altro. Oggi prenotare un viaggio online, da parte dei privati, comporta un salto  nel vuoto,  col rischio  di annullamenti  o di rimanere bloccati senza poter rientrare. Solo un serio operatore professionale può garantire tutte le coperture del caso. Ma al viaggiatore serve anche una consulenza personale, che non si limita sicuramente al prezzo e alle date. Occorre prestare attenzione alla persona, dobbiamo conoscere il budget, il livello di esperienza, la disponibilità per certi spostamenti, le passioni individuali, le aspettative, l’età e la composizione del nucleo familiare. Così abbiamo un risultato tailor made, e possiamo offrire esattamente cosa si desidera e cosa ci si può permettere».

Quanto conta l’esperienza sul campo?

«Quella è fondamentale. E io mi muovo in continuazione proprio per questo. Viaggiando verifichi la bontà delle strutture, valuti bene orari e tempi, ti confronti con gli operatori turistici locali e coi fornitori dei servizi, provi i ristoranti e impari a conoscere gli indirizzi giusti per lo shopping. Anche partecipare alle fiere e ai meeting è importante, si allacciano nuove relazioni e si creano grandi opportunità. Io poi cerco di accompagnare sempre i miei gruppi, sia quelli che optano per un percorso concepito da noi sia gli altri, quelli che abbiamo organizzato secondo le loro esigenze. Per le partenze individuali offriamo assistenza 24 ore su 24».

Com’è nato il viaggio per Torino Magazine?

«Rispondendo al vostro desiderio di proporre una Gran Bretagna originale e curiosa, ma senza trascurare alcune eccellenze imprescindibili. Il tutto con una settimana di tempo a disposizione. Abbiamo percorso il sud da Bristol a Londra, valorizzando centri incantevoli come Salisbury e Bath, esplorando Stonehenge per approdare alla capitale coi suoi grandi teatri, Windsor, lo Shard… Attenzione al food e alla cultura come richiesto. Un viaggio romantico perfettamente  replicabile».

Cieli contrastanti lungo il Tamigi

C’è qualche mito da sfatare nel mondo dei viaggi?

«Più di uno. Ad esempio, molti considerano le crociere una formula banale, in grado di attrarre solo la clientela attempata. Invece non è così. I prodotti che consigliamo – Costa Crociere, MSC, NCL, Royal Caribbean – sono ideali per le famiglie, garantiscono ottimi servizi di intrattenimento e di ristorazione, i prezzi sono più che ragionevoli, si possono visitare i diversi approdi per poi rilassarsi serenamente a bordo. È un segmento di mercato in forte espansione. Altro mito da sfatare è quello dell’età, sovente i viaggiatori migliori sono i meno giovani. Avere 70 anni oggi non è come aver avuto la medesima età negli anni Sessanta. Per cultura, disponibilità alla spesa, esperienza e buona salute, si tratta di un target ideale. Poi ci sono le resistenze a presunti rischi sul clima, ma il riscaldamento globale regala cieli limpidi nelle isole britanniche durante tutto l’anno e l’estremo nord non è più così rigido e inospitale. Per ultimo segnalo le paure connesse al terrorismo, mentre molti Paesi arabi sono meravigliosi e del tutto tranquilli. La mia ultima grande passione è la Mauritania, ci sono stata spesso ed è una località mozzafiato, sto lavorando perché sia una delle destinazioni emergenti nei prossimi anni».

 

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(Foto di MARCO CARULLI)