News

Normandia

Le Havre, Étretat, Rouen: un triangolo di bellezza e sapori

di Guido Barosio

Autunno 2021

SI INIZIA A LE HAVRE, RINATA COL GENIO DI AUGUSTE PERRET. SI PROSEGUE A ÉTRETAT, AMATA DA MONET E ARSÈNE LUPIN. UN TRIANGOLO DI BELLEZZA E SAPORI CHE SI COMPLETA A ROUEN, L’ATENE DEL GOTICO

Se la Normandia fosse una squadra di calcio, sarebbe sicuramente un super team. Potrebbe schierare – tra personaggi di finzione, scrittori e artisti, nativi e assidui passanti – una formazione ineguagliabile: Gustave Flaubert (con la sua icona Madame Bovary), Charles-Pierre Baudelaire, Jacques Prévert, Marcel Proust, Roland Barthes, Pierre Corneille, André Breton, Erik Satie, Marguerite Duras, Guy de Maupassant, Raymond Queneau, Claude Monet, Eugène Boudin, Marcel Duchamp, Fernand Léger, e ancora Jean-Baptiste Adamsberg (il commissario di Fred Vargas), Cornelius Ryan (autore de Il giorno più lungo), Claude Lelouch (regista di Un uomo, una donna), Aki  Kaurismäki (che ha concepito lo struggente Miracolo a Le Havre), Michel Legrand (che ha musicato Les parapluies de Cherbourg), le tante Giovanna D’Arco, da Ingrid Bergman a Milla Jovovich di Luc Besson. Ci piace chiudere l’elenco con l’Arsène Lupin di Maurice Leblanc, riportato alla notorietà globale dall’omonima serie di Netflix. Una tale concentrazione non è casuale, la Normandia ha il genio nel proprio DNA, ma è anche un attrattore formidabile, con il mare e la luce, con le falaise e le sue città d’arte. Geograficamente confina con la Manica a nord (venti d’Inghilterra che colorano la storia) e… con Parigi a sud, 135 chilometri da Rouen, neanche due ore d’auto. La sua massima attrattiva è Mont Saint-Michel, con 3milioni e 500mila visitatori l’anno, tra le mete più visitate al mondo. E non ne parleremo. Il suo capolavoro artisticamente più rappresentativo è l’arazzo di Bayeux.

Le Havre: il Bassin du Commerce, il campanile di San Giuseppe e il Volcan

E anche in questo caso silenzio. Perché l’obiettivo del nostro viaggio è quel triangolo di territorio compreso tra Le Havre, Rouen ed Étretat. Il motivo è semplice: una regione come la Normandia merita di essere assaporata con attenzione minuziosa, scelte precise, logiche artistiche, geografiche e gastronomiche. Solo così se ne apprezza il peso specifico e la qualità dell’offerta, solo così il viaggio respira, sorprende e non confonde.

Il centro di Le Havre dalla vetta del municipio

Le Havre

E il viaggio, in questo caso, inizia con Le Havre, che non è una città come tutte le altre, che nascono, crescono, qualche volta si ammalano e muoiono (restando consegnate alla storia immobili), in altre occasioni prosperano. Le Havre appartiene alla categoria delle “città fenice”, quelle che rinascono dalle proprie ceneri. Di fondazione relativamente recente – con una data precisa, l’8 ottobre 1517 – fin dall’inizio ebbe una vocazione atlantica: navi e marinai, contrabbandieri e mercanzie, schiavi e soldati, ricchezza evidente e crescente, prodotti esotici, rivalità (e guerre) con gli inglesi, poi migranti, nordici, anglosassoni, polacchi, italiani e  magrebini. Agli inizi del XX secolo Le Havre era il principale porto europeo per il caffè, e uno dei principali approdi mondiali per i transatlantici. Nel 1913 transitarono 741mila passeggeri, di cui 150mila verso gli Stati Uniti. Sembra di sentire Francesco Guccini cantare, in Amerigo: «…e già sentiva in faccia l’odore di olio e mare che fa Le Havre». Poi la storia voltò bruscamente la bandiera e, nel 1940, la città venne occupata dai tedeschi. La liberazione fu peggio del male: tra il 5 e il 6 settembre del 1944, tre mesi dopo lo sbarco in Normandia, gli alleati, per fiaccare la resistenza nazista, non trovarono migliore soluzione che il bombardamento di tutto l’abitato. Risultato: 5mila morti, 80mila senzatetto, 150 ettari rasi al suolo, 12mila immobili distrutti.

Le Havre: il municipio e la sua piazza

La città venne “liberata” sei giorni dopo. Ed è a questo punto che la Fenice rinasce dalle sue ceneri. La ricostruzione venne affidata allo studio di Auguste Perret, maestro di Le Corbusier, che realizzò quello che è il sogno segreto di ogni architetto: la progettazione, e la realizzazione, di una città partendo da zero. Idee chiare, intransigenza e rigore, una visione “politica” e non solamente urbanistica, l’uso, pressoché esclusivo, di un materiale povero come il calcestruzzo. «Il mio calcestruzzo – amava dire – è più bello della pietra, lo lavoro, lo cesello. Con breccia di granito o di arenaria dei Vosgi come inerti ne faccio una materia che supera in bellezza i rivestimenti più pregiati. Il calcestruzzo è una pietra che nasce, e la pietra naturale è una pietra che muore». In neanche dieci anni venne edificata una superficie di 133 ettari (la quasi totalità di quella distrutta) e il 15 luglio 2005 l’UNESCO iscrisse il centro della città di Le Havre nel patrimonio mondiale dell’umanità con questa motivazione: «Un esempio eccezionale dell’architettura e dell’urbanistica del dopoguerra». Un riconoscimento di prestigio assoluto, perché i siti con temporanei premiati in Europa sono solo quattro.

Il campanile di Saint Joseph

L’interno della cattedrale di Saint Joseph

La Le Havre di Perret è forse l’unico esempio continentale di città nuova, dove tutto è stato concepito insieme, lo spazio privato come quello collettivo. La visione deriva chiaramente dal classicismo strutturale, tanto apparentemente semplice quanto sofisticato. L’impatto visivo ha debiti evidenti con la natura circostante, il mare e i cieli spazzati dal vento. L’architettura fa risaltare la luce, quella stessa luce che ispirò Claude Monet per Impression, soleil levant, capolavoro dipinto proprio a Le Havre. Perret e il suo team videro le cose in grande per la città oceanica. Nella composizione degli edifici si definì una logica seriale che seguì sempre la medesima trama, il famoso valore “6,24 metri” declinabile (e declinato) ovunque: lo spazio tra due colonne, le dimensioni delle finestre, la larghezza delle strade… tutto è multiplo di  6,24.  Alcune prospettive  sono  immense, come l’Avenue Foch, più larga degli Champs-Élysées, che collega il municipio al mare. Il culmine: la chiesa di Saint Joseph, la cattedrale di cemento, firmata da Perret medesimo e terminata poco dopo la sua morte, col campanile (ma verrebbe da dire faro marittimo o minareto) alto 107 metri, coi 12768 vetri colorati che si infiammano ogni qual volta il sole entra nel tempio. Al contempo chiesa e missile rivolto al cielo, non imita e sicuramente non è imitabile.

Le scale ellittiche della Biblioteca Universitaria

Le Havre è un parco di architettura contemporanea dove Perret ha spalancato la soglia e altri, dopo di lui, hanno arricchito lo scenario. Città del nuovo, resta marina e portuale, ha  scelto l’arte e la cultura per raccontarsi, offre visioni sempre inaspettate, non consideratela tappa di passaggio, perché nel nord della Francia è quella che ha una marcia in più. Tra gli edifici più significativi: la Porte Océane, che segna il confine dell’abitato verso il mare; l’imponente municipio (di fronte al quale si apre una piazza di 243×192 metri, tra le più vaste d’Europa) con la sua torre alta 72 metri; la grande passerella che valica il Bassin du Commerce; la Biblioteca Universitaria con le sue forme arrotondate, l’abbagliante candore e le rampe elicoidali che salgono verso l’alto. Ultima a rinascere, e ancora in evoluzione, l’area degli storici docks, con il Campus EMN et  Cité  Numérique, Les Bains des Docks, forse la più bella piscina pubblica mai concepita, firmata da Jean Nouvel, tutta giocata sulle forme regolari e candide degli edifici che ospitano il celeste delle acque; il centro commerciale dei Docks Vauban; l’aguzzo vascello urbano dell’École Nationale Supérieure Maritime du Havre; la Cité A’Docks, composta da cento alloggi universitari ricavati negli spazi dei container, utilizzati come moduli abitativi. Sul litorale è impossibile non riconoscere il doppio arco coloratissimo di Vincent Ganivet, anch’esso concepito utilizzando container, in questo caso 36.

Il doppio arco di Vincent Ganivet

L’École Nationale Supérieure Maritime

Subito fuori dall’abitato è stato realizzato nel 2012 lo spettacolare Stade Océane: una bomboniera blu che può ospitare fino a 25mila spettatori. I 1500 pannelli fotovoltaici posti sulla copertura permettono di compensare tutti i fabbisogni energetici dell’impianto. Qui gioca l’Havre Athletic Club, attualmente in Ligue 2 ma amatissima formazione dal fascino romantico. La squadra Ciel et Marine (dai colori azzurro e blu della maglia, scelti in onore delle università britanniche di Oxford e Cambridge) venne fondata nel 1872 ed è la più longeva di Francia. Vinse anche il primo titolo nazionale nel 1899, ma per una curiosa circostanza, dato che nessun’altra squadra si presentò in campo. Altra icona havraise è il Volcan, candido edificio composto da due volumi (uno più alto, iperbolico e asimmetrico, l’altro più basso e cilindrico) firmati dall’architetto Oscar Niemeyer, l’ideatore di Brasilia.

Il primo dei due spazi ospita una sala teatrale con un fitto calendario di rappresentazioni, dove prevale il teatro di contaminazione e di ricerca. Il secondo è la biblioteca che tutti noi vorremmo: grandi sale dove sono accomodati libri e visitatori, punti lettura di formidabile comodità, alcuni su chaise longue, il relax della mente e del corpo tra le parole scritte. Culla dell’arte, e degli impressionisti (che qui lasciarono tracce memorabili), è il MuMa (Musée d’Art Moderne André Malraux): un cubo  di  vetro che raccoglie la luce (che rese possibili i capolavori) e la restituisce sulle tele, mentre al visitatore sembra di passeggiare in cielo.

Le Havre: le sale del MuMa

La collezione degli impressionisti è seconda solo a quella del Musée d’Orsay a Parigi e il MuMa espone opere di Courbet, Monet, Pissarro, Sisley, Boudin, Renoir, Degas, De Stael, Matisse, Gauguin… Chi volesse osservare, come dal buco della serratura, come si viveva ai tempi di Auguste Perret, non può perdersi una visita all’Appartement Témoin, dove sembra che gli inquilini siano appena usciti. Ci si aggira tra mobili e arredi, ma non mancano vestiti, libri, giornali, il giradischi e l’aspirapolvere. Una macchina del tempo orientata verso l’altro ieri. Ogni anno la città, con il progetto Un été au Havre, ospita un protagonista della scena artistica contemporanea. Quest’anno – negli spazi suggestivi della Villa Maritime, affacciata sulla spiaggia – è stata la volta del torinese Fabio Viale. Di impressionante bellezza le sue opere: statue classiche perfettamente riprodotte (in marmo!) e successivamente tatuate con motivi russi e giapponesi, grazie ad una tecnica che gli ha permesso di utilizzare la superficie come fosse epidermide umana.

Lo scultore Fabio Viale a Villa Maritime

Ma Le Havre non è solo arte, la grande spiaggia cittadina connette con l’oceano e i suoi colori, induce all’indolenza, affascina coi suoi grandi spazi e offre (se volete) lunghi momenti di flânerie. Risalendola si raggiungono prima Les Jardins Suspendus, raffinato parco a tema dedicato alle imprese dei botanici esploratori, e poi, dopo qualche chilometro, Sainte-Adresse: case (tutte bellissime, un altro concorso di architettura, ma in questo caso ricorda Santa Monica e Malibu in California) ben disposte sulla falaise e rivolte fronte oceano, col vento che cambia i colori ogni minuto. Sulla sinistra, panorama verso Le Havre, con la spiaggia e i palazzi a disegnare la mappa. Stabilito che questo è probabilmente uno dei luoghi più belli del mondo, va ricordato che, dal 1915 al 1918, vi riparò in esilio la famiglia reale belga col suo governo, cacciati dai tedeschi che avevano occupato Bruxelles. Scelsero davvero bene, come dargli torto.

In spiaggia a Le Havre

La Havre dei sapori, in equilibrio tra futuro e tradizione, merita attenzione partecipe. Le Margote (50 quai Michel Féré, tel. +33.235.436810, www.lemargote.fr) è un approdo bistronomique di qualità: lo chef Gauthier Teissere (34 anni) propone una cucina fortemente identitaria (non più di tre/quattro ingredienti per piatto, accostamenti perfetti e originali), gustosa e normanna negli spunti, originale nelle soluzioni. Carta dei vini nazionale con interessanti  referenze, conto  più che accettabile.

Lo chef Ghautier Teissere

Il ristorante Jean-Luc Tartarin (73 avenue Foch, tel. +33.235.454620, www.jeanluc-tartarin.com), due stelle Michelin, prende il nome dallo chef ed è la riconosciuta icona della cucina havraise. Tutto perfetto, tutto misurato, ogni dettaglio, dagli arredi alle portate, ci parla di equilibrio e talento, stile inconfondibile, successo consolidato negli anni. Qualche piatto dal menù degustazione: gelée de homard et caviar à la crème de chou fleur, grosse langoustine fumée à la braise de romarin, St Pierre poché à l’huile d’olive des Calabres et rôti, ris de veau doré au panko… e ci siamo limitati al soggetto principale, perché, intorno, gli elementi della garniture  rimandano alla perizia degli alchimisti. Un’annotazione particolare per il prezzo: menù a 82 e 130 euro (vini esclusi), decisamente ragionevoli per la levatura della maison.

Due composizioni di Jean-Luc Tartarin

Il terzo ristorante, Chez André (9 rue Louis Philippe, tel. +33.235.218807, www.chezandre.net), ci ha particolarmente colpito per stile, ambiente e intuizioni gastronomiche. Nel locale di Bastien Le Moan, chef e patron, si mangia stretti stretti con la cucina a vista, si gustano prodotti del mercato freschissimi (carni normanne, ostriche, pescato), i vini biologici sono buonissimi (cosa niente affatto scontata), l’atmosfera è quella di un posto tra amici, habitué, allegri compagni di merende. Niente di turistico, anzi. L’atmosfera familiare si completa con lo chef che serve direttamente ai tavoli. Il conto fa uscire allegri, oltre che appagati. Da provare, anzi da andarci apposta.

Un piatto di Bastien Le Moan

Non lasciamo Le Havre senza avervi consigliato un hotel ideale per stile e posizione: Vent d’Ouest (4 rue de Caligny, proprio di fronte alla chiesa di Saint Joseph, tel. +33.235.425069, www.ventdouest.fr). Ambiente nautico, camere decorate con fantasia (la mia aveva un trompe-l’oeil raffigurante un’immensa libreria, neanche mi conoscessero), petit déjeuner rimarcabile, i servizi di una piccola SPA concepita con gusto.

Una stanza al Vent d’Ouest

Étretat

A circa 40 minuti d’auto dal centro città si raggiunge Étretat, eccellenza riconosciuta della Costa d’Alabastro,
villaggio incastonato tra due spettacolari falaise che vive nel culto di Arsène Lupin e del suo creatore Maurice Leblanc. Quando ci si affaccia sull’oceano in una simile posizione si perdona tutto, anche un ex borgo di pescatori oggi costellato da troppi pub, alberghi, ristoranti e negozi di ogni cosa.

La falaise di Étretat

Di particolare suggestione la visita a Les Clos Lupin (15 rue Guy de Maupassant, tel. +33.235.105953), storica abitazione dove Maurice Leblanc soggiornò per 20 anni. L’autore del celebre ladro gentiluomo, che nei romanzi assunse ben 47 diverse identità, ha dedicato al suo amatissimo personaggio 22 opere, tra cui una pièce teatrale e un romanzo inedito. Cinema e televisione, soprattutto in Francia, hanno reso il ladro gentiluomo immortale, seppur con una fama calante nel tempo. Ci ha pensato la recente doppia serie di Netflix, interpretata da Omar Sy, a restituirgli fama universale, rendendolo contemporaneo, e forse per questo irresistibile. Les Clos Lupin, invece, è una macchina del tempo che conquista con soluzioni teatrali, allestimenti, voci e trucchi degni della saga di Leblanc. Tutto rivive con grazia e sembra di vedere il leggendario Arsène, cilindro e mantello, fare gli onori di casa, rimandandoci indietro di cento anni o giù di lì.

Les Clos Lupin a Étretat

Si lascia Étretat facendosi ancora una volta sedurre dal contesto ipnotico delle due falaise, dalla spiaggia dove indugiarono, prima di dipingere i propri capolavori, Boudin e Monet, dall’Aiguille Creuse e dai tesori immensi e nascosti concepiti da Leblanc, quelli che hanno rubato Omar Sy e generazioni di attori prima di lui. Che Lupin sia solo un personaggio di finzione neanche ti sfiora, la magia di Étretat, con la sua luce soprannaturale, non consente margini di dubbio.

Rouen

A questo punto si vira verso sud e, prima di raggiungere Rouen, si fa tappa a Jumièges per ammirare un capolavoro della fede senza eguali nella regione, e forse nella Francia intera. Il perché è presto detto, questa
grande abbazia è un rudere meraviglioso, dominato dalle due torri della facciata, alte 46 metri, e imponente
nella navata, che culmina a 25 metri di altezza. La sua storia, complessa e avventurosa, parla di una comunità
monastica che la fondò nel 654, per poi vederla distrutta dai vichinghi due secoli più tardi. L’attuale edificio risale al secolo XI e venne abbandonato con la rivoluzione francese per diventare cava di pietra. Quando il madornale scempio ebbe termine, e i romantici rivalutarono il tempio, si scoprì che quello straordinario scheletro permetteva di vedere ciò che solitamente non si ammira: l’ardimento di una costruzione eccezionale, la sua bellezza spoglia e solenne, la poesia irresistibile della pietra, i “Pilastri della Terra”, come direbbe Ken Follet.

L’abbazia di Jumièges

Dalla fede ai sapori rinomati di un maestro della cucina il passo è breve, almeno in questo caso. A poche
decine di metri dall’abbazia si trova l’Auberge des Ruines (17 Place de la Mairie, tel. +33.235.372405, www.auberge-des-ruines.fr), il regno dello chef stellato Christophe Mauduit. La sua carta è strettamente
dedicata ai prodotti regionali di assoluta prossimità (ad esempio usa il normanno olio di colza e non quello
d’oliva) come il bue normanno, l’anatra di queste fattorie, il pescato (cabillaud e langoustine, tra gli altri)
del mare più vicino. Rigore nei prodotti ma fantasia nelle proposte, negli accostamenti, nei dettagli colorati dei contorni. Menù più che abbordabili, dai 45 ai 77 euro.

Con lo chef Cristophe Mauduit

Rouen, capitale della Normandia, sorge fra le ampie anse della Senna, a circa 60 chilometri dal mare. Definita l’Atene del gotico da Stendhal, vanta l’appellativo di Ville Musée per il valore del proprio patrimonio artistico. Messa a repentaglio alla fine del secondo conflitto mondiale, durante le stesse ondate di bombardamenti
che rasero al suolo Le Havre, nonostante il tributo di vite umane (oltre cento vittime) alla città venne risparmiata l’apocalisse artistica: si salvarono un gran numero delle bellissime case a graticcio del centro
storico, il grande orologio e la sua torre, le chiese di San Maclovio e di Saint-Ouen, la magnifica cattedrale
gotica di Notre-Dame, dipinta a più riprese da Claude Monet. Fondata dai celti in epoca preromana, Rouen – capitale del potente ducato di Normandia – fu lungamente contesa tra Francia e Inghilterra. Durante il dominio anglosassone, nel 1431, avvenne il martirio di Giovanna d’Arco.

Il centro medievale di Rouen

Dopo la definitiva annessione alla Francia, Rouen visse un’epopea dorata, dove prosperarono le attività portuali, il tessile e la manifattura laniera. Tra le strette vie del centro storico, la cattedrale di Notre-Dame appare con una forza magnetica: tre spettacolari facciate, altrettante bellissime torri, merletti di pietra di bellezza irreale, la guglia alta 151 metri che non ha eguali al mondo. Durante la bella stagione la facciata principale ospita, ogni sera, uno spettacolo di suoni e luci ammaliante, colorato, vorticoso, tecnologicamente sofisticato e coinvolgente, in assoluto una delle ragioni del viaggio. Se poi volete annotarvi una data da mettere in agenda, sottolineate l’8 giugno 2023. Da quel giorno, e fino al 18, si terrà l’Armada di Rouen, una delle manifestazioni nautiche più affascinanti del panorama internazionale. Unica nel suo genere. Ogni tre-quattro anni si danno appuntamento centinaia di velieri per una memorabile passerella senza tempo.

Lo spettacolo di luci sulla facciata di Notre-Dame

Nessuno dei più celebri manca all’appello, dall’Amerigo Vespucci al Belem, le naviscuola di Italia e Francia. Durante l’ultima edizione, nel 2019, i visitatori sono stati dieci milioni. La memoria di Giovanna d’Arco è presente in due luoghi della città, separati da pochi minuti a piedi. Nella place du Vieux Marché, dove la santa venne arsa sul rogo, è stata costruita, nel 1979, una chiesa in suo nome. Ideata da Louis Arretche, è una lunga vela in cemento impattante quanto sobria, allora come oggi divide le opinioni di residenti e visitatori.

Le case a graticcio di Rouen

L’Historial Jeanne d’Arc (www.historial-jeannedarc.fr) è uno spazio multimediale, allestito nel Palazzo dell’Arcivescovado, dove la pulzella d’Orleans venne processata e condannata. Filmati e ologrammi accompagnano il visitatore, tutto rivive e tutto emoziona. Tra i numerosi musei cittadini, l’eccellenza indiscutibile è il Museo delle Belle Arti. Infinito e ricchissimo, lascia il visitatore ammaliato e quasi frastornato. Pitture, sculture, disegni e oggetti di tutte le epoche e scuole: immensi quadri ottocenteschi (Ingres, Géricault, Delacroix…), una collezione di impressionisti (Monet, Sisley, Pissarro, Degas, Renoir…) che contende al MuMa di Le Havre il secondo posto dopo il Musée d’Orsay. Mettete in conto almeno mezza giornata se volete vedere anche le esposizioni temporanee. Gustave Flaubert, nato a Rouen nel 1821, genio indiscusso della letteratura francese, padre di Madame Bovary e di tanti altri personaggi immortali, in vita non fu particolarmente amato dai suoi concittadini, più propensi alle loro attività borghesi e commerciali.

L’Historial Jeanne d’Arc

L’interno della chiesa di Santa Giovanna ‘Arco

Oggi, in occasione del bicentenario della nascita, come in una sorta di risarcimento, viene celebrato attraverso l’imponente programma di manifestazioni ed eventi che abbraccerà anche il prossimo anno: www.flaubert21.fr. Ma è soprattutto verso un’altra data che la capitale della Normandia lucida i muscoli: la candidatura di Rouen a Capitale Europea della Cultura 2028. Per preparare la sfida la municipalità ha deciso di coinvolgere tutti i residenti, invitandoli a concepire un’idea, un disegno, un video (con un atelier gratuito), un pensiero oppure un sogno. Il tutto indirizzando le apposite cartoline, o scrivendo le proprie idee direttamente sul sito rouen2028.eu o sulle pagine Facebook e Twitter Rouen 2028.

Le sale del Museo delle Belle Arti

La Rouen dei sapori è un riassunto eloquente della tavolozza gourmand della Normandia: sapori di mare e di terra, che coesistono operativamente nella medesima carta, il riflesso di una tradizione borghese dove si afferma la sostanza di ricette golose e identitarie. Proprio di fronte alla chiesa di Giovanna d’Arco si trova il
Marcel Apéro Bistro (35 place du Vieux Marché, tel. +33.235.075690, www.marcel-rouen.fr): cucina che bandisce il microonde (come chiaramente specificato nella carta) e mette in scena un menù che prevede: camembert fritto e composta di mele, rognone alla mostarda e tartare al coltello, di bue o di salmone. Carnivori
implacabili esultate, questo è il posto per voi. Se riuscite a terminare antipasto, piatto principale e dolce siete dei vichinghi. Avvertiti.

Chi meglio ci ha introdotto alla sostanziosa cucina normanna è Laurent Blanchard, membro e animatore del Club des Toques di Rouen: «Per me la tradizione è la base di tutto, nella mia carriera ho avuto l’onore di lavorare in maison celebrate, ristoranti stellati dove ho imparato molto. Ma oggi – ci spiega – sono tornato all’essenziale, alle ricette più classiche della mia infanzia, che però sono sempre le più audaci. Mi interessa il rapporto personale coi produttori e gli allevatori. Vado a cercare i prodotti che voglio, non aspetto che me li portino». Ma la tradizione non cambia mai? «La tradizione non è un quadro appeso alla parete, si evolve e si adegua. Va rispettata, ma in armonia col presente. E poi bisogna continuare a inventare, altrimenti si fa dell’archeologia». Fai parte di un gruppo che promuove la ristorazione del territorio, come si trasmette questa sensibilità? «I giovani vanno coinvolti e preparati. Ma la filosofia, la manualità si incontrano solo in cucina. Che non è un teatro, ma un luogo dove si impara e si lavora».

Una creazione di In Situ

Nel suo ristorante, In Situ (35 rue Lecaunet, tel. +33.235.889348, www.insitu-restaurant.com), ogni premessa trova goloso compimento: prodotti di fragranza magistrale, semplicità che rivela autorevolezza, tradizione senza tempo in alcune portate iconiche, come quelle a base di anatra, vera passione dello chef. Il miglior albergo di Rouen ha un nome quasi impronunciabile, ma offre un’esperienza difficilmente replicabile. L’Hôtel de Bourgtheroulde (15 place de la Pucelle, tel. +33.235.145050, www.hotelsparouen.com) è un palazzo del XV secolo con fascino e autorevolezza fuori dal tempo. Servizi e dettagli rivelano opportunità che rendono unico il soggiorno. Da menzionare l’attrezzatissima SPA e la grande piscina, perfetta per il relax di fine giornata.

L’Hotel de Bourgtheroulde

Bene, è ora di far rotta verso Parigi. Il nostro triangolo normanno – percorribile in meno di 200 chilometri – si rivela ideale per comprendere come l’essenza del viaggio non richieda estenuanti maratone. È il peso specifico dei luoghi quello che conta. Tra architetture da scoprire e Calvados, maree e cieli spazzati dal vento. Claude Monet e Arsène Lupin sapevano cosa scegliere.

 


Cosa vedere:


 


Dove mangiare:


 


Dove dormire:


 

Parigi: l’arte dello stupore

Una grande capitale non si misura esclusivamente con l’immenso patrimonio (monumenti, musei, palazzi…), ma con la capacità di creare il nuovo, di riallestire con audacia, di creare meraviglia con scelte ambiziose. Parigi, in questo, sa essere insuperabile e, nel 2021, ha stupito con due approdi imprescindibili durante una prossima visita.

L’Hôtel de la Marine

 

L’Hôtel de la Marine

In place de la Concorde il Centre des Monuments Nationaux ha riaperto l’Hôtel de la Marine (per le visite: www.hotel-de-la-marine.paris), superbo complesso architettonico realizzato nel XVII secolo da Ange-Jacques Gabriel, primo architetto del re. Fino al 1798 ha ospitato il Guardamobili della Corona, prima di  diventare, per oltre 200 anni, la sede del Ministero della Marina. I lavori di restauro hanno riportato gli appartamenti – definiti “ideali” secondo i canoni del tempo al loro splendore settecentesco. Erano spazi destinati ad alloggio, al ricevimento, ma anche alla presentazione delle collezioni reali. Non si è trattato di un semplice riallestimento, qui tutto è frutto dello studio accuratissimo di ogni dettaglio, dalla posizione dei mobili alla tavola addobbata come in una rappresentazione teatrale, alle luci soffuse, che inquadrano, accarezzano e allestiscono una macchina del tempo. Ci si aggira nelle sale rapiti dalla magia della storia, ammiragli e guardamobili sembrano essersene andati solo pochi minuti prima. Le esoteriche cuffie Confident permettono un’immersione ancora più coinvolgente.

La Bourse de Commerce

Non c’è nulla di paragonabile alla Bourse de Commerce (www.pinaultcollection.com) reinventata da François Pinault, il massimo collezionista d’arte contemporanea al mondo, con un patrimonio di 10mila opere composto da dipinti, sculture, video, fotografie, installazioni e performance. La Bourse – restaurata e trasformata dall’architetto Tadao Andō – è il suo terzo museo “personale”, dopo Palazzo Grassi e Punta della Dogana a V L’edificio parigino testimonia cinque secoli di abilità architettonica e tecnica. L’architetto giapponese sintetizza così il proprio intervento: «La pianta circolare prevede al centro una rotonda ed è all’interno di questa rotonda che ho inserito un cilindro di cemento di trenta metri di diametro e nove metri di altezza. La disposizione spaziale della Bourse è fatta di cerchi concentrici, pensata per provocare un dialogo teso tra il vecchio e il nuovo». In alto circonda la cupola un immenso affresco di 1400 metri quadrati, realizzato per l’esposizione universale del 1889. Monumentale panorama che sintetizza il mondo intero e la sua storia. L’esposizione inaugurale – Ouverture – è opulenta, ma la si visita in trance, annichiliti dal contesto.

L’Hôtel du Rond-Point des Champs-Élysées

Novità anche per l’albergo consigliato. Nell’ottavo arrondissement, strategico per ogni percorso, a due passi dalla metro, Esprit de France propone l’Hôtel du Rond-Point des Champs-Élysées (www.paris- hotel-rondpoint-champselysees.com): riallestito da pochi mesi, offre camere e suite all’insegna di eleganza, charme e comfort. Cura ambiziosa per ogni dettaglio degli arredi – pezzi di design e antiquariato ognuno con la propria storia – colazioni gourmet e, per il relax di fine giornata, una piccola, incantevole, piscina coperta. Ma quello che fa la differenza è lo stile dell’accoglienza: disponibilità, gentilezza, cordialità, la sensazione di essere sempre in buone mani. Quel sentirsi a casa propria che rende unico il soggiorno.

 

(Foto di MARCO CARULLI)