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Isola d'Elba

Spiagge, storie, colori e misteri

di Guido Barosio

Primavera 2021

L’ISOLA DALLE 200 SPIAGGE, DOVE IL VINO PUÒ NASCERE DAL MARE E DOVE POTRETE NAVIGARE NELLA STORICA BARCA DI ETTORE SCOLA. MA ANCHE UN LUOGO NEL QUALE LA STORIA HA OFFERTO ASILO A NAPOLEONE BONAPARTE E OGGI SI PUÒ ESPLORARE UN MISTERIOSO LAGO DALLE ACQUE COLOR DEL SANGUE

Ogni viaggiatore sa che l’isola è un mondo. Approdo e fortezza, accogliente e serrata in se stessa, amichevole e respingente, ha il mare come unico confine. Così l’isola, anche quando appartiene al continente ed è prossima alla costa, non risulta mai omologabile. C’è sempre qualcosa di unico che la rende differente, in estrema sintesi anarchica. Così la nostra esplorazione dell’Elba – condotta in giorni stagionalmente lontani dalle folle e irripetibili perché pandemici, quindi ancora più rarefatti di presenze umane – ce la restituisce alla sua vera essenza: paesaggisticamente esuberante, storicamente affascinante e sorprendente, bella di un verde e di un blu in continua contesa, misteriosa per leggende marine e terrestri. All’Elba risiedono 32mila abitanti, mentre le presenze turistiche sfiorano i tre milioni per anno, una sproporzione che degenera tra luglio e agosto, quando è opportuno tenersi distanti. Gli altri dieci mesi sono ideali per un viaggio, con variazioni climatiche sensibili ma quasi mai determinanti, perché nell’isola ogni giorno fa clima a sé, governato dai venti che scompaginano ipotesi e previsioni. Ma le ore di sole sono 2150 per anno, che non è certo poco.

Sotto la spiaggia di Enfala

La spiaggia di Lacona

Definire l’Elba un approdo balneare risulta indiscutibilmente riduttivo. Distante dieci chilometri dalle coste toscane (e 50 dalla Corsica), l’isola ha una superficie di 224 chilometri quadrati (la terza d’Italia) e un periplo di 147 chilometri, dove sono ben disposte 200 spiagge – piccole, grandi, di ciottoli bianchi oppure nere scintillanti, qualche volta raggiungibili solo via mare, più spesso comode oppure collegate da brevi sentieri, nella maggior parte dei casi bellissime – che costituiscono una sorta di record mondiale, mai così tante in uno spazio così limitato. Un patrimonio puntualmente premiato dalle graduatorie internazionali, recentemente TripAdvisor ha definito la spiaggia di Sansone ‘spectacular’, posizionandola tra le prime al mondo. Ma l’Elba non è solo questo, oppure, meglio, è questo circondato da tanto altro: un paesaggio in continuo movimento tra alture e declivi, coperto di foreste, alcuni piccoli centri dai vicoli serrati e dalle belle prospettive (Portoferraio, Capoliveri, San Piero in Campo, Rio Marina…), vigneti disposti ad anfiteatro, la grande miniera di Calamita da esplorare col fiato sospeso, un angolo di preistoria (il laghetto delle Conche) che ci riporta dritti dritti a Jurassic Park.

E poi c’è la storia – quella grande, anche grandissima, o minuscola, coi suoi fatti misteriosi, in particolare a occidente – che non è mai passata da comprimaria, anzi si è rivelata magnetica attraendo personaggi, vicende, battaglie che hanno stabilito gerarchie in tutto il Mediterraneo. Esistono località dove all’imponenza dei reperti (castelli, mura, fortezze) non corrispondono vicende altrettanto rilevanti e altre, come appunto l’Elba, dove sembra sia accaduto poco o nulla perché la storia è stata solerte a nascondere le sue tracce. Anzi, negli anni più recenti, il volto urbanistico dell’isola non ha rivelato particolari talenti: case né brutte né belle, molte delle quali concepite per il turismo mordi e fuggi, edifici geometrici ed esteticamente irrilevanti (ad essere generosi), qualche bruttura solidamente ancorata alla costa, in generale un’esaltazione del funzionale a discapito del bello che proprio non si fa amare.

Vertice di questa concezione di sviluppo del territorio il progetto, ormai avanzato, di un surreale acquapark al centro dell’isola, contestatissimo da Italia Nostra. Purtroppo non sempre la mano dell’uomo rispetta quanto di generoso è stato offerto dalla natura, ma la bellezza complessiva dell’isola, imponente, resiste tenendo a distanza – almeno sinora – errori che sono in pochi a voler correggere.
L’Elba emerge dal mare, come Venere, in due momenti distinti della propria storia antichissima. Abitata fin dai primordi dell’umanità, l’isola fu colonizzata dai liguri (gli Ilvati) e dagli Etruschi dediti alla ‘cottura del ferro’. Definita recentemente, proprio per quest’attività, dallo storico  De Giacomo  ‘L’isola dei mille fuochi’, era nota nell’antichità come Aethalia. Il Sabbadini ne spiegò l’etimologia nel 1920: «Con questo nome chiamavano l’Elba i greci. Risale alla base Aithalos, fuliggine, fiamma, favilla. I greci che navigarono verso l’Elba rimasero colpiti dal fumo e dalle fiamme dei forni in cui si cuoceva il ferro». Da Strabone e da Diodoro Siculo impariamo che Giasone sarebbe approdato sull’isola con le navi degli Argonauti. In seguito l’Elba fu romana, longobarda, pisana e saracena, genovese e poi nuovamente pisana, sempre pronta a proteggere le sue coste dai pirati, come dal famigerato Barbarossa, che però riuscì nel saccheggio. Cosimo I de’ Medici rese inespugnabile Portoferraio con un imponente sistema difensivo e ribattezzò la città Cosmopoli.

Portoferraio

Il centro storico di Portoferraio

Contesa da spagnoli, francesi e persino inglesi, il 4 maggio 1814 l’Elba entrò nella storia dalla porta principale ospitando l’esiliato Napoleone Bonaparte, al quale era stato accordato il principato dell’isola. Furono solo dieci mesi di presenza, però memorabili. Napoleone modernizzò il sistema stradale, disastroso, migliorò l’assistenza sanitaria e organizzò feste e celebrazioni: tutti accadimenti che resero la popolazione entusiasta, in particolare affascinata dalla presenza della sorella Paolina, la ‘venere corsa’. Nella parentesi napoleonica l’Elba divenne pellegrinaggio di una folla partecipe e curiosa – inglesi, esuli francesi, uomini di cultura, rifugiati e avventurieri – tanto che la rada di Cosmopoli, che il principe volle ribattezzare così, ospitò un numero di navi mai visto prima. Una sorta di turismo ante litteram, sotto la bandiera con le tre api d’oro e la banda rossa voluta da Bonaparte e ancora oggi vessillo elbano. Dopo Waterloo l’isola fu integrata nel Granducato di Toscana, per poi entrare a far parte del Regno d’Italia nel 1860. La parentesi napoleonica è ricordata con ironica partecipazione nel film ‘N – Io e Napoleone’ di Paolo Virzì, protagonisti Daniel Auteuil e Monica Bellucci. La storia unitaria dell’Elba vedrà anni drammatici durante il secondo conflitto mondiale, in particolare per la feroce occupazione francese che lasciò le truppe senegalesi e marocchine libere di considerare l’isola ‘bottino di guerra’. L’eroe elbano più celebre di quegli anni tormentati fu Teseo Tesei, maggiore della X Flottiglia MAS, che si immolò nel porto di Malta a bordo del suo barchino esplosivo. L’audace missione gli valse la medaglia d’oro al valor militare e la titolazione dell’aeroporto di Marina di Campo, sua città natale.
La storia dell’Elba nel dopoguerra, e per oltre 30 anni, è strettamente collegata allo sviluppo dell’attività mineraria. Nei pressi di Capoliveri, proprio di fronte al mare, si sviluppò l’impianto di estrazione più grande e più ricco d’Europa.

Le miniere di Calamita

E si affermò anche una nuova figura sociale: il cavatore (minatore), fiero della propria attività, faticosissima ma garante di un reddito fisso, uno degli emblemi del boom economico italiano. Al contempo, grazie all’estrazione del ferro, tutta l’isola si modernizzò nelle infrastrutture, dai porti alle rete stradale. Oggi è possibile recarsi nelle miniere attraverso visite guidate a gruppi: un’esperienza emozionante che ci porta nel cuore della terra fino a 24 metri di profondità, percorrendo le gallerie e le rotaie dove il lavoro veniva svolto in pesantissimi turni di otto ore, al buio, con la sola luce posizionata sul casco. L’impatto diventa mozzafiato quando ci si affaccia nelle ‘coltivazioni’, giganteschi ambienti sotterranei scavati dai minatori. La più grande ha dimensioni tali da poter ospitare due volte il Duomo di Milano. Stefano Luzzetti, la nostra guida, ci ricorda che «ancora oggi le tre feste di questa zona sono dedicate alle classiche professioni elbane: quella dell’uva, quella del pesce povero e quella del cavatore. E avviene nonostante l’attività in miniera si sia bruscamente interrotta nel 1981. Il motivo? Molto semplice: importare il ferro divenne più conveniente che estrarlo. Ma, tutto sommato, non fu una sventura. Perché la chiusura della miniera coincise con l’inizio del boom turistico, attività redditizia e meno massacrante».
Se attraversiamo l’Elba ci rendiamo conto di come la vegetazione sia cambiata in ragione delle attività economiche. Prima del boom minerario ovunque prevaleva la vite, dopo i boschi ripresero il sopravvento, adesso la viticoltura vive una nuova giovinezza e i terrazzamenti dell’isola ospitano produzioni importanti, alcune di levatura notevole.

L’azienda di Antonio Arrighi

È il caso dell’azienda di Antonio Arrighi – situata nella parte orientale dell’isola, sulle colline alle spalle della baia di Porto Azzurro – per il quale l’enologia è una scelta di vita se non una vera e propria missione. Figura di spicco nel settore, conosciuto per le sue scelte coraggiose, ha reimpiantato nei terrazzi le vigne che, per secoli, avevano disegnato le colline dell’azienda, proseguendo la coltivazione degli ‘storici’ autoctoni – Procanico rosa, Biancone, Vermentino, Ansonica – e, naturalmente, del prezioso Aleatico.
La passione e la curiosità lo hanno portato a non limitarsi al recupero della tradizione, ma a sperimentare. La filosofia di Arrighi si può riassumere in una frase di John Ruskin: «La qualità non è mai un caso; è sempre il risultato di uno sforzo intelligente». E di sforzi Antonio ne fa molti, grazie alla sua curiosità e alla sua tenacia è il primo e unico nell’isola a riportare in auge l’antica tecnica della produzione del vino in terracotta, con l’affinamento in grandi anfore realizzate a mano. La scelta nasce sia dall’esigenza di cercare un contenitore che microossigenasse il vino, come le barrique, ma senza cedere le sostanze del legno, sia dalla conoscenza della storia dell’isola che, già 2000 anni prima, produceva vino in anfora, come testimoniato dagli scavi romani della villa di San Giovanni. Uno dei vini prodotti in anfora è proprio dedicato a Hermia: realmente esistito 2100 anni fa, era uno schiavo cantiniere della villa rustica di San Giovanni all’Isola d’Elba. Per conto del suo padrone, l’illustre Valerio Messalla, Hermia acquistò a Minturno, nel Lazio meridionale, i grandi orci (dolia) con cui arredò la cantina e stampigliò il suo nome accanto alla figura di un delfino che rimanda a un’antica e affascinante leggenda dell’Asia Minore. L’ultima sfida di Antonio ha a che fare con l’antica Grecia e con un esperimento portato avanti col professor Attilio Scienza, e si ispira ai vini di Chio, che facevano parte di quella ristretta élite di vini greci considerati, sul ricco mercato di Marsiglia e successivamente a Roma, prodotti di lusso. Si trattava di un prodotto dolce e alcolico – unica garanzia per sopportare i trasporti via mare – ma possedeva qualcosa che gli altri vini non avevano, un segreto che i produttori di Chio custodivano gelosamente e che rendeva questo vino particolarmente aromatico: la presenza del sale derivante dalla pratica dell’immersione dell’uva chiusa in ceste nel mare, con lo scopo di togliere la pruina dalla buccia e accelerare così l’appassimento al sole, preservando in questo modo l’aroma del vitigno. L’uva utilizzata per ricreare questo particolare metodo di vinificazione è l’Ansonica, tipica dell’Elba, che viene immersa in mare per cinque giorni a circa dieci metri di profondità, protetta in ceste di vimini. Il successivo passaggio delle uve avviene in anfore di terracotta con tutte le bucce, dopo la separazione dei raspi. La presenza di sale nell’uva, con effetto antiossidante e disinfettante, ha permesso di provare a non utilizzare i solfiti, arrivando a produrre, dopo un anno di affinamento in bottiglia, un vino estremamente naturale, molto simile a quello prodotto 2500 anni fa. Per ora, comunque, una delizia riservata a pochi, con solo 40 bottiglie prodotte dalla vendemmia  2018. Per il futuro chissà, il vino del terzo millennio potrebbe nascere sotto la superficie del mare.

Le grandi anfore realizzate a mano dell’azienda di Antonio Arrighi

Il patrimonio più conosciuto dell’Elba è sicuramente quello delle spiagge. Tra le più amate, la già citata spiaggia di Sansone, quella prospiciente il laghetto di Terranera, col tipico contrasto verde/azzurro delle acque, La Fetovaia, Le Ghiaie, nel cuore di Portoferraio, quella di Pomonte, Le Tombe, quella di Cavoli, Cala dei Frati, la spiaggia di Forno, quella di Sant’Andrea, Laconella, quella di Barabarca.

La spiaggia Le Ghiaie

La spiaggia di Cavoli

Facile la tentazione di cambiarne una, o più di una, al giorno, ma formidabile la prospettiva di scoprirle dal mare, in barca, andando a conoscere anche quelle che non possono essere raggiunte altrimenti. E anche le barche non sono tutte uguali, perché qualcuna – come Lady Lillj, condotta da Francesco Grassia (Tel. 329.8842842) – rappresenta un sogno, un gioiello di legno, il fascino romantico di battelli che non si fanno più. Concepita nel 1970 dal regista Ettore Scola, può andare a vela e a motore, anche se il grande albero riposa in magazzino per una fruizione più semplice e quotidiana.

La Lady Lillj è completamente in legno, anche nei più piccoli dettagli, dalla cucina alle toilette, alla cabina interna. La bellezza è in ogni minimo particolare, frutto della maestria dei migliori maestri d’ascia di quegli anni. Nel suo passato tanti ospiti illustri e una significativa apparizione cinematografica nella pellicola di Corbucci ‘Mi faccio la barca’, con Johnny Dorelli e Laura Antonelli. Oggi Lady Lillj si può noleggiare partendo da Porto Azzurro per rotte di mezza giornata (o di una intera) alla scoperta della costa meridionale, dove le acque sono più cristalline, le spiagge più belle irraggiungibili a piedi e i delfini, durante la bassa stagione, possono accompagnare la navigazione per lunghi tratti. Io a Le Monde ho sempre creduto, anche quando racconta di viaggi e sapori. Così, seguendo un recente reportage di Thomas Doustaly, mi sono recato a San Piero in Campo per scoprire un piccolo villaggio incantato, arroccato sulla punta di un colle, felicemente differente rispetto ad altri agglomerati urbani sulla costa. Le antiche vie propongono case semplici ma belle, dai colori pastello, e due chiese che hanno qualcosa in più del bello, in particolare quella romanica dedicata ai Santi Pietro e Paolo: suddivisa in due navate perfettamente corrispondenti, rappresenta un vero melting pot di culture eterogenee, che forse ebbe inizio con un antico tempio pagano dedicato al dio Marte. Ma Doustaly, pur affascinato dall’edificio religioso, dedica lo stesso numero di righe all’Osteria Cacio e Vino (Via della Porta, 12 – Tel. 0565.983351 – 338.4051444), distante non più di dieci minuti a piedi. E come dargli torto! Questo è un approdo per veri intenditori dei sapori del territorio, quelli ruspanti che sanno sempre essere eleganti, autorevoli, antichissimi nel rispetto di ricette, prodotti, accordi che non tradiscono mai.

L’osteria Cacio e Vino

Conducono le sorti del locale Laura Galvani, in cucina, e Massimo Luzzetti, in sala e agli approvvigionamenti, che spaziano in assoluta prossimità: «È normale che utilizzi i prodotti di qui e anche le eccellenze del mare non mancano mai – ci spiega Massimo – per noi essere a chilometro zero è una scelta naturale». Ci sono piatti sempre in carta e proposte del momento.

Laura Galvani e Massimo Luzzetti

Da menzionare le tagliatelle al ragù di cinghiale (mai mangiate così buone), i totani ripieni di verdure, gli gnocchetti al ragù di polipo (cottura lunghissima, come per quello di carne), i moscardini in umido con fagioli (giustamente piccanti), gli stufati a bassa temperatura. La cucina di Asterix (ma quella buona) in un villaggio che è una vera macchina del tempo.

Totani ripieni di verdure

Piaceri lenti che sono la sintesi del viaggio, la fede e la buona tavola nell’isola degli Argonauti. Che è anche l’isola dei misteri, perché il sovrapporsi di genti, fedi, miti e culture ha lasciato il segno e il breve spazio di una terra boschiva circondata dalle acque rappresenta il luogo ideale per tesori nascosti (tanti tesori nascosti, forse lo stesso vello d’oro degli Argonauti), apparizioni demoniache, miracoli, presenze di streghe e folletti, animali marini leggendari. Scriveva Luigi Berti nel 1922: «Da bambino, il nonno, ch’era stato ai suoi tempi un uomo d’acqua, in certi crepuscoli elbani, quando l’orizzonte è ornato di una grigia e setosa dolcezza serale e sulle vele lontane e illanguidite sta per sopravvenire come una malattia di spore; quando il reale e il soprannaturale sono la stessa cosa e non può esservi mistero nella vita vicina più di quello che possa esservi un altro spazio nel cielo; allora il nonno mi diceva: Ecco la notte di Barbarossa, il maltese».
Noi il nostro luogo soprannaturale lo abbiamo trovato al laghetto delle Conche, mezz’ora di auto da Rio Marina, poi, vicino alla spiaggia di Cala Seregola, una brusca deviazione verso l’interno, per nulla segnalata (unica salvezza Google Maps), e un tratto di strada che metterà a dura prova pazienza e sospensioni.

La prima ricompensa arriverà con una dorsale di roccia, isolata, simile alla montagna di ‘Picnic a Hanging Rock’ (solo più piccola) che si infiamma di rosso a ogni tramonto. Ma questa è solo l’ouverture, perché poco dopo vi sembrerà di essere in ‘Jurassic Park’. Al fondo di una conca, completamente ricoperta da una vegetazione serrata, lascia senza fiato un piccolo lago di origine mineraria dalle acque color del sangue con riflessi violacei. Una meraviglia cromatica dovuta alle elevate concentrazioni di elementi contenenti ferro.

Le acque scarlatte del laghetto delle Conche

L’impressione è quella di trovarsi in uno scenario preistorico, dal quale potrebbe affacciarsi un T-Rex, oppure marziano, per via del rosso, del contesto alieno, della straniante sensazione di affrontare un pianeta sconosciuto. I fotografi ci vanno e ci tornano più volte, perché la luce regala a ogni ora colorazioni diverse. Poco segnalato e quasi assente dai suggerimenti turistici, costituisce una tappa irrinunciabile per chiunque consideri l’Elba qualcosa in più di un semplice viaggio. Detto che libri, guide e testi sull’isola (ma anche ottimi vini) si possono trovare a La tana dei sogni Book e Wine (Via Marconi, 25 – Tel. 0565.976319), a Marina di Campo, veniamo alla scelta di un luogo dove soggiornare. Banditi gli hotel gradassi del turismo balneare e le troppe anonime stanze in affitto, consigliamo una soluzione d’autore: le case concepite e realizzate dal torinese Adriano Bacchella, interior designer con il talento di creare soluzioni abitative dove prima non c’erano o quasi. Così, dove resistevano solo ruderi o poco più, la sua fantasia visionaria ha messo in scena le abitazioni che all’Elba non ci sono, non ci sono mai state, ma che avrebbero potuto e dovuto esserci.

Adriano, torinese DOC, non nasce professionalmente con questa attività, ma con la fotografia: reportage in giro per il mondo, e, a un certo punto, foto di case, bellissime case metro- politane (anche di personaggi celebri), resort rurali d’autore, realizzazioni dei migliori architetti. Con libri preziosi e pubblicazioni sulle migliori riviste internazionali.
«Mi sono fatto l’occhio e ho affinato il gusto, a quel punto è arrivata la tentazione di cimentarmi nella mia ‘prima casa’, arredata e concepita da me», ci racconta Bacchella. Buona la prima, verrebbe da dire, così lui si è dedicato in maniera prevalente alla nuova vocazione. «All’Elba sono arrivato cinque anni fa, mi sono innamorato dell’isola e mi sono guardato intorno. A Seccheto ho trovato quello che cercavo: edifici non solo da restaurare completamente ma da ripensare. Mi sono impegnato in prima persona e sono nate tre case: Mazzacorta, Melagrana e la Casa dei Gatti. Ognuna ha la sua storia, la sua genesi, ognuna è legata alla fatica e all’ispirazione. In tutte è presente il concetto di ecosostenibilità, dove si crea recuperando l’esistente. In tutte ho cercato quel grande benessere che circola dentro e fuori in uno spazio fluido senza soluzione di continuità».

Le sue dimore sono l’astrazione di un concetto dove la terra incontra il mare e la natura si respira nel legno dominante in ogni dettaglio. Ovunque materiali scelti con cura, tessuti e quadri, pezzi di design d’autore che si integrano negli spazi come fossero sempre stati lì. Sono case all’Elba, ma hanno un cuore nomade e internazionale, potrebbero essere in Provenza o nel New England, sono più legate al talento dell’autore che alla location, pur fascinosa, che le ospita.

Casa Melagrana

E ora è arrivato il momento della terza tappa del suo percorso. Anche qui poco più di un rudere, ma collocato in un contesto ambientale unico e mozzafiato: il Prataccio, in Alta Valle Buia, sopra Seccheto. Siamo dove l’isola diventa montagna, in mezzo ai boschi, di fronte a un ruscello che taglia il verde. A noi ha fatto venire in mente la Nuova Zelanda de ‘Il Signore degli Anelli’, ma vi giuro che siamo all’Elba. Presto tutto sarà pronto, un nuovo approdo per vivere la natura con lo stile inconfondibile di un viaggiatore che concepisce le sue abitazioni mettendoci talento e fatica, perché una casa non è certo pura fantasia. Se volete assicurarvi una dimora di Bacchella per il vostro soggiorno elbano, questa è l’agenzia che se ne occupa: www.latuacasasulmare.it. Nell’isola degli Argonauti, Alta Valle Buia è il luogo dove si concentra il maggior numero di leggende e di misteri, noi lo abbiamo scoperto leggendo ‘Historia minor’ di Silvestre Ferruzzi (Persephone Edizioni). Nell’anima antica delle isole la rotta giusta dei luoghi si scopre sempre tra le pagine di un libro.


Cosa vedere: le tappe da non perdere


Portoferraio
Capolivieri
San Piero in Campo
Rio Marina
Miniere di Calamita
Laghetto delle Conche
Spiaggia di Fetovaia
Spiaggia de Le Ghiaie
Spiaggia di Pomonte
Spiaggia delle Tombe
Spiaggia di Cavoli
Cala dei Frati
Spiaggia di Forno
Spiaggia di Sant’Andrea
Spiaggia di Laconella
Spiaggia di Barabarca


Dove dormire: La tua casa sul mare


Casa Mazzacorta
Casa Melagrana
Casa dei Gatti

 

(Foto di MARCO CARULLI)